giovedì 21 febbraio 2019

freewheelin' #45

C’era Francesco accanto a me, in un aereo, mentre volavamo verso un Paese africano e Flavia, in una classe, a rispondere a domande che nessuno le aveva rivolto e gli alberi intorno, i loro movimenti fatti di aria invisibile e fruscii, i rami che galleggiano nel vuoto e le improvvise giornate di sole e tutti i ricordi che continuavano ad arrivare come fossero la vita di qualcun altro, non una sola, a pensarci bene, ma centinaia di esistenze diverse che avevo attraversato, che erano apparse e svanite, i cicli degli anni, le maree degli eventi, era rimasto poco o nulla di tutte le mie speranze, delle aspettative, era stata un liberazione graduale, perché non c’era niente da ottenere, nessun traguardo da superare, nessun progetto da portare a termine, chi cazzo ci aveva insegnato a costruire il futuro quando a malapena sapevamo muoverci nel presente, chi erano stati i nostri maestri? Quali teste di cazzo ci erano toccate di avere davanti, in cattedra, a pontificare su tonnellate di stronzate inutili, se una rivoluzione andava fatta era quella di dimenticarsi di tutto, di fare una strage di idee malsane, esplosioni di gabbie concettuali, esecuzioni di modi di pensare catatonici, c’era ancora la mia ombra, da qualche parte, con una pistola in mano a mirare ai cervelli di quanti ci avevano fregato, c’erano ancora, da qualche parte, tutte quelle persone che mi sono illuso di amare, forse la mia sconfitta più devastante è stata quella di ammettere che  quelle marce di battiti cardiaci non sono state altro che un trucco della mia mente, povero coglione, ne hai fatta di strada per arrivare alla conclusione che non c’era mai stato nulla di veramente importante da considerare unico, perché ogni attimo, ogni particella subatomica di tempo era già perfetta nella sua solitudine, a quanti si sono abituati a una vita che non era loro ci saranno cortei di idioti a innalzarne la mediocre statura, a quanti hanno voltato le spalle al tedio e sono fuggiti e si sono precipitati nell’abisso e sono morti, annegati, scomparsi e dispersi, a loro qualcuno dedicherà parole di indomita bellezza, perché è nell’accettare la vita nella sua totale assurda meraviglia che risiede quel seme di speranza che qualcuno attende di veder germogliare nel dischiudersi degli sguardi di chi ancora sveglio ha finalmente imparato a sognare. 

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