mercoledì 29 dicembre 2021

Cigarrones #23

 Era sabato, avevo deciso di non andare al full moon party a Cigarrones e così mi ero ritrovato a incazzarmi con Sara, nel pizza&love, mentre stavamo aspettando da mangiare. Ci eravamo già fatti fuori qualche birra (litigavamo sempre meglio quando eravamo un pò ubriachi) e poi le avevo detto qualcosa sull’educazione e non era assolutamente quello che lei voleva sentire, così aveva iniziato a insultarmi e un’onda di rabbia mi era salita dentro (reazioni, reazioni, reazioni), così a metà del mio hamburger (che era arrivato durante la nostra sempre più accesa discussione) mi ero alzato, avevo lasciato dei soldi sul tavolo e me ne ero tornato a casa, senza aspettarla, crogiolandomi sulla teatralità della mia uscita di scena.

La domenica, nel primo pomeriggio, avevo preso la macchina di Sara (credo che durante la notte, in qualche misterioso modo, avessimo chiarito le nostre posizioni e fatto pace) e avevo guidato fino a Cigarrones, dopo aver comprato alla gasolinera un paio di litri di birra più un tercio da sorseggiare mentre ero al volante. Mi piaceva pensare a questo gesto come a un omaggio a Vittorio, che vedevo sempre più come una sorta di anarchica guida lisergica e che, in parte, credo lo fosse veramente. A bassa velocità mi ero diretto verso Cigarrones con la mia cerveza fra le gambe, come avevo visto fare a lui altre volte. In verità il ricordo maggiormente nitido è quello di Vittorio che guida il suo library service van con un bicchiere di vetro, con non so quale miscuglio alcolico dentro, poggiato direttamente davanti al pacco. Comunque sia, appena superato il women’s field, mi sono reso conto che c’erano una marea di macchine, camion e camper parcheggiati un pò ovunque, più di quanti ne avessi mai visti lì, di sicuro appartenevano alle persone che avevano partecipato al full moon party la notte prima e che erano rimaste in zona sia per smaltire i postumi di tutte le droghe assunte sia per partecipare al mercatino domenicale (più concerto) che era il motivo per il quale ero venuto.

Dopo aver lasciato la macchina in uno spazio dove non si poteva parcheggiare (mi sentivo uno di casa da quelle parti, quindi facevo un pò come cazzo mi pareva) sono andato a trovare Lolo, che era nella sua baracca insieme a Ara, li ho salutati e poi ci siamo seduti sul divano di fuori, c’era il sole, la temperatura era perfetta, abbiamo parlato, abbiamo riso e abbiamo bevuto la birra che avevo portato e che era ancora fresca.

Poi la musica è iniziata, la sentivamo arrivare fra i cespugli e i San Pedro, fra l’aria e le foglie che brillavano nella luce, così siamo andati al tempio (il pussy temple come lo chiamava scherzosamente Adriano) e già c’era parecchia gente nello spiazzo che aveva davanti, tutti sembravano allegri e senza troppe preoccupazioni, Vanessa, Wibbs e Will parevano risplendere (le droghe erano state davvero buone la notte prima, pensavo), Vittorio e Uncle Eddie erano in disparte, chiacchierando fra loro, io mi sono trovato un angolo, ho continuato a bere, poi mi sono messo a ballare ad occhi chiusi, sentendomi vivo e presente e limpido e parte di questo flusso sonico che mi portava con sé. 

Mi è passato davanti Chaz, avevo per un momento riaperto gli occhi, in cerca di alcol, sguardo assente e parole strascicate, mi ha confessato che l’acido che aveva preso durante il party era stato troppo forte (bravo coglione, ho pensato) ma non avevo nessuna voglia di ascoltare i suoi discorsi, soprattutto adesso, così gli ho dato un sorso della mia birra giusto per levarmelo dalle palle e gli ho suggerito di proseguire verso Vittorio.

Il tempo è passato (o siamo noi che passiamo attraverso di esso? Un luogo invisibile, una meraviglia inafferrabile) e l’energia umana mi vibrava dentro e intorno e aveva forme e colori e suoni e odori. Ho abbracciato Maeve e Pauline quando ci siamo visti. Poi altro tempo è passato e la musica è finita, così sono andato di nuovo con Lolo nella sua baracca, ci siamo bevuti un bicchiere di vino, mi sentivo soddisfatto della giornata e non c’era molto altro che volessi fare o dire.

Dopo aver salutato Lolo sono tornato alla macchina e mi sono reso conto che anche la guardia civil era arrivata, parcheggiando non troppo distante. Non capivo bene cosa stessero facendo, forse qualche controllo (anche se la situazione generale era ancora fuori controllo), c’era anche un elicottero che ronzava fastidioso nel cielo, ho studiato un pò la macchina della guardia civil, non c’era molto da vedere, solo un paio di colgioni in divisa appoggiati al cofano che non potevano fare più di tanto, allora ho messo in moto, li ho superati, loro neanche mi hanno guardato, meglio così, ho dato un pò più di gas e me ne sono ritornato al pueblo.


Il giorno dopo siamo andati al monreon, io e Sara, a trovare Stéphane, un suo amico e lui ci ha accolto nella sua casa, con gli strumenti musicali e i libri e gli echi fra le pareti di innumerevoli storie raccontate e dimenticate, ci siamo messi a parlare o meglio Stéphane ha cominciato una interminabile e appassionata arringa contro alcuni coglioni (secondo lui) che si era ritrovato come vicini. Lo ascoltavo un pò sbronzo, credo che ci fossimo fermati a bere una paio di birre al chico bar, io e Sara, prima di arrivare da lui. Poi sono entrati in casa i suoi figli e Stéphane mi ha chiesto se io ne avessi e gli ho risposto di no e lui ha aggiunto che neanche lui ne voleva e che erano stati un regalo per la sua compagna, poi ha guardato la figlia sorridendole e le ha sussurrato - Tu sei stata un regalo.


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