lunedì 30 giugno 2025

Warsaw #1

 Apparivano le case, i balconi, le tende, i graffiti sui muri, tutto scorreva come le sequenze di un sogno, come se stessi partendo ancora, quei colori che sfumavano al lato della vista e le poche parole sussurrate da stanchi turisti, mentre la città svaniva e con lei la rete di eventi passati, l’intreccio di ore e azioni, da cui lo scrittore era di nuovo libero e si poteva ricollegare con la trama segreta e i paragrafi sintetici di un romanzo differente, nel quale le identità scomparivano o finivano sempre per sdoppiarsi e ripetersi e così non c’era più il bisogno di fuggire in quelle dimensioni parallele così invitanti, perché esse si manifestavano nei riflessi di vetri e oggetti, nei segmenti mobili che ogni velocità meccanica o psichica aiutava ad ottenere e all’interno di questo turbinio cognitivo il caos della percezione diveniva fluido e presente e lo potevo sentire nel mio cuore e nei respiri e mi ritrovavo così nella  magica condizione di allontanarmi dalle distrazioni quotidiane e di riavvicinarmi al centro pulsante del mio essere - Improvvise variazioni sulla tela visiva, il verde della campagna e dei prati, rigoglioso, selvaggio, incontrollato, erano solo campi ma avrebbero potuto essere sconfinate praterie di pura immaginazione, senza fili spinati, senza la violenta colonizzazione della ragione - Sarebbe bastato anche solo un albero  e il silenzio e un mondo che stava conoscendo la sua fine a darmi una direzione da seguire - Avrei atteso ancora, non c’erano più orari da rispettare, lo scrittore proteggeva il suo sguardo con lenti opache - Le ombre si allungavano, il manoscritto variava e prendeva una forma diversa, quella di un nemico in una notte ostile, un mare purpureo che lambiva i fianchi e le scogliere di una montagna solitaria, un’isola perduta nella memoria, una porta oscillava nel vuoto violaceo, incapace di capire sé stessa e la sua funzione all’interno di un unico mistero, solo per tornare a chiudersi e ad aprirsi, così sarà il tuo cuore, disse una voce, ogni volta che qualcuno tenterà di chiedere il nome di chi è divenuto null’altro che un’ombra al suo interno, un ricordo svanito nelle maree del tempo. 

venerdì 20 giugno 2025

ZetaElle #39

 Immagini di paesi dell’entroterra del Marocco, nascosti fra verdi vallate, i nostri corpi appena svegli sulle pendici di una montagna avvolta dalla nebbia, le piantagioni di marijuana, i canti dei muezzin, poi il silenzio di una casa, quello dell’anima, il silenzio che lo scrittore aveva smesso di praticare come una forma di meditazione: su sé stesso, il mondo, la scrittura, quello che aveva intorno e dentro.

Immagini di una vita che qualcuno, in altri luoghi onirici stava portando avanti, nelle sue vesti e nella sua fisionomia continuamente in mutazione. Stili alternativi e il richiamo di Samara a raggiungerlo ovunque lei fosse. E la casa di Ahmed e la sensazione che qualcosa era stato rubato o sottratto, mentre lo scrittore vagava per corridoi e stazioni e l’improvvisa presenza del suo corpo all’interno di una macchina, che si fermava sul bordo della strada, in una notte avida di vento, nella quale gli alberi ondeggiavano e si piegavano, alcuni fino a spezzarsi e poi le luci che scendevano dalla facciata di un palazzo diroccato e file di adolescenti sciamavano per la strada, irriconoscibili gli uni dagli altri, le ragazze con le gonne corte e le gambe nude e spacciatori invisibili che si aggiravano per vendere le loro sostanze, i loro sogni, le loro illusioni.

Durante le settimane passate, qualcuno aveva suggerito di cambiare i nomi dei personaggi e così Zito Luvumbo aveva perduto la sua identità ed era diventato Zimbo LLewylin, mentre ennesimi caratteri psicotici blateravano nella mente dello scrittore, che alta voce provava battute e dialoghi che mai avrebbe trascritto, lasciava che le parole fluttuassero nell’aria dell’appartamento, a volte rideva delle cose che diceva, altre aveva un senso di pungente panico, nel caso stesse per impazzire completamente e qualcuno lo stesse ascoltando.

Risvegli mattutini in oasi metropolitane inconsce, non c’era bisogna di alzarsi, di uscire, di fare niente. Eppure la scrittura esigeva la sua presenza, si insinuava nelle pieghe del sonno, in quelle dei pensieri e lo scrittore tornava ade essere sé stesso, immaginando cose, sentendo voci, lasciandosi libero di esistere ed emergere nello spazio che i suoi sogni continuavano a circondare di mistero.

lunedì 16 giugno 2025

ZetaElle #38

 Ipnotici inseguimenti notturni, con sequenze ad alta velocità e ad alta definizione, per poi ritrovarsi chissà dove, ammessi a feste private, mentre si cercavano tra i volti e le maschere i vecchi compagni di un tempo - Le serate passate con Ahmad a bere vodka e a giocare a scacchi, provando a comunicare in una lingua che stavamo inventando notte dopo notte, un nuovo esperanto, era come aprire le possibilità del linguaggio a quelle della nostra psiche e vedere cosa accadeva, mi sembrava quasi che in alcuni momenti riuscissimo a creare delle connessioni telepatiche che la vodka sembrava facilitare per poi far scivolare via i pensieri nel cesso della memoria, quando il giorno dopo rimaneva nella scatola cranica un vuoto amniotico, una salvifica cancellazione di quanto era successo, una amnesia temporanea che dava spazio ad ogni possibile rielaborazione narrativa - Intanto lo scrittore sembrava essere scomparso e le sue parole risuonavano come incomprensibili mugolii, scatti di rabbia repressa, sommesse preghiere, inviti silenziosi e la sua ombra vagava nelle sedi anarchiche dove i film della mente venivano proiettati e lui era una fumosa figura avvolta dal mistero del proprio silenzio, mentre beveva birra e osservava le immagini sovrapporsi e perdersi nella circolarità di viaggi lisergici in zone incontaminate, deserti, ghiacciai, sacre farse, mentre la litania di una donna sembrava il canto funebre di ogni possibile tentazione comunicativa fra i due sessi, rimaneva l’alienazione di essere individui irraggiungibili, l’amore era una cicatrice interiore che non si sarebbe mai più rimarginata, la nudità del corpo e quella dell’anima, mentre simboli atavici prendevano il sopravvento e la macchina da presa seguiva come rapita i passi di un uomo che si voltava indietro solo per dimenticarsi di dove stesse andando - C’erano trappole ovunque, i viaggi in metro di notte solo per avere un alibi metropolitano nel quale credersi vivo, molteplici esistenze, molteplici identità, scambi di ruoli, rapimenti politici, l’eco delle bombe e delle armi, il frastuono di una esplosione, una serata a guardare il delirante teatro di un’improvvisazione snaturata, mentre i suoni si distorcono e le parole se ne fottono di qualsiasi messaggio potrebbero portare, rimane così la bellezza dell’atto e dopo solo la meraviglia di non aver capito nulla di quanto sia successo. 

domenica 15 giugno 2025

ZetaElle #37

 Lei era una principessa e lo sarebbe sempre stata. Nel mio cuore, nei miei ricordi. L’avevo vista ridursi in polvere, risucchiata da una siringa, perduta in una vena. Avrei voluto salvarla, fare qualcosa per lei. Tutte le notti che sono andato a trovarla, a casa sua, eravamo ancora dei ragazzi, le portavo un paio di birre forti, perché le se alleggerisse la pena di esistere, sapevo che non sarebbero bastate, quando me ne andavo, lei usciva, il buio l’avvolgeva, rendendola ancora più seducente e misteriosa, i bisogni e la ruota, gli incontri, i soldi che non bastavano mai, gli accordi, ogni storia che mi ha raccontato e che non avrei mai voluto ascoltare. 

La sua bellezza mi rapiva, mi avvolgeva, i suoi occhi erano oceani, erano universi e galassie in cui precipitavo e ogni volta che mi guardava scorgeva parti della mia anima sconosciute anche a me stesso, fra i riflessi delle nostre iridi c’era un linguaggio che non erano le parole a costruire ma i palpiti del cuore. 

Imparare ad amare significa anche cominciare a conoscere il dolore. E andare avanti.

Gocce sotto la lingua e bicchierini di sambuca, psicofarmaci e alcol, cambi della personalità e litigi, urla e lacrime, gesti folli, sentivo il suo furore graffiarmi dentro e poi improvvisa arrivava la dolcezza - Eravamo in macchina, non sapevo più cosa fare, ho accostato, cercando di farla calmare, ho provato ad abbracciarla, a baciarla, poi ho sentito i suoi denti sul mio naso, il sapore del sangue, mi sono messo a urlare, lei è uscita fuori dalla macchina, scomparendo nel buio.

Lei era un principessa e lo sarebbe sempre stata. Non l’ho più vista dopo quella notte anche se qualcosa della sua essenza permeava ancora la mia vita. Trovai un libro, un giorno, su una bancarella e c’era una sua foto, di quando era giovane, meravigliosa e malinconica, era un libro di poesie che le aveva dedicato il fratello. Lo lasciai lì senza comprarlo, accarezzando con la punta delle dita la sua immagine. Anni dopo ho saputo che era morta.    


domenica 1 giugno 2025

ZetaElle #36

 C’era un film da finire e quando tornavamo a casa non c’era nessuno ad aspettarci - Poi apparivano Anna e Franco e Lorenzo e lo scrittore che stava tagliando un panetto di hashish in un angolo della stanza e qualcuno sistemava i microfoni e i vecchi videoregistratori e le luci, poi iniziavamo a girare e Anna e Franco parlavano davanti alla videocamera, i primi piani, i capelli lunghi, il fumo delle sigarette e delle canne e lo scrittore prendeva appunti per una sceneggiatura che sarebbe stata scritta solo dopo che il film fosse stato finito - I ricordi di piazza Navona, dei tossici, di quando ci sedevamo ai tavolini e ci mettevamo a parlare liberamente di tutto quello che ci passava per la testa, fatevi crescere i capelli gridava qualcuno mentre mi faceva scivolare un acido in tasca  e chissà quando lo avrei consumato per poi rimanermene ore a guardare le persone passare per la piazza e i colori mutare e tremolare ed esplodere - Solo per non aver più nulla da dire e pensare che anche il tempo fosse fuggito via in una dimensione impossibile da definire, un mondo in cui ci eravamo ritrovati tutti e poi di colpo eravamo invecchiati e qualcuno era morto e questo film era rimasto incompiuto eppure sembrava che la vita, la vita di Anna, avesse avuto la possibilità di riscriversi da sola, lontana dalle videocamere e mi ricordava le serate in cui passeggiavo per il centro o mi mettevo sugli scalini di una chiesa a bere birra e fumare hashish e c’era della musica, c’erano artisti di strada, strani personaggi, strane situazioni, c’era quasi la certezza che il presente fosse nostro e noi fossimo parte di esso e poi ogni cosa è andata distrutta e sono rimasti frammenti e stavamo chiusi in camera, io e Lorenzo, a rimettere insieme questi pezzi di nastro, di memoria senza un’idea di quello che ne sarebbe uscito fuori e poi, anni e anni dopo, riemerse un film dal nostro subconscio e lo chiamammo come sarebbe stato giusto fare, lo chiamammo Anna, anche se di lei non avevamo saputo più niente - E tu che ancora mi chiami, a tarda notte e mi racconti la tua vita lontana e io ti ascolto, bevendo vino rosso, continuando a scrivere gli appunti di un ennesimo romanzo mentale, in questa fredda notte di stanchi pensieri, soggetti smarriti, tagli su nastri che portano ancora impresso l’odore della tua pelle di ragazza.



sabato 24 maggio 2025

ZetaElle #35

 La stanza delle risonanze emotive, con il vino e le panche e le canzoni e i diversi personaggi che Lorenzo stava interpretando, in stati di progressiva magnificenza alcolica - La presentazione di un libro in cui qualcuno in crisi di astinenza intellettuale aveva deciso di dialogare con una intelligenza artificiale dal profilo femmineo, un’altra potenziale troia ruffiana, gridava qualcuno da dietro una colonna, mentre le femministe mettevano mano ai coltelli e l’atmosfera diventava densa e tesa - Sarebbero volati piatti e bicchieri se qualcuno avesse voluto trasformare il baccanale in una violenta orgia della lotta dei sessi, qualcuno intonò un inno anarchico e i cuori furono colmi e calmati, avendo la possibilità di congiungersi in un inno che travalicasse le proprie matrici sessuali - Avevo poco interesse nell’esplorare le nuove possibilità di una mente artificiale se chi l’aveva educata aveva il nostro stesso cervello, sempre persi nel labirinto del pensiero umano saremmo rimasti, cosa si nascondeva oltre? Cosa avrebbe prodotto un pensiero totalmente alieno? Lorenzo si era versato un altro bicchiere di vino e poi si era seduto accanto a me e avevamo iniziato a parlare della coscienza delle piante e dell’uso del peyote e dalla tasca sdrucita della sua giacca era spuntato  fuori un libro con un intervista a Castaneda e chissà chi era stato veramente questo uomo, quante identità aveva assunto e il volto di Lorenzo diventava serio, poi allegro nell’intonare un ennesimo canto - Ci eravamo incontrati alla stazione di Frascati, avevamo preso lo stesso treno senza neanche saperlo, era buio e freddo e alcuni ragazzi stavano rollando una canna seduti nella sala d’aspetto della stazione, Lorenzo mi aveva passato una bustina e poi ci eravamo diretti verso la stanza mentale in cui sarebbe stato presentato il libro. 

C’erano ancora echi dei nostri discorsi il giorno dopo, senza che mi ricordassi come fossi tornato a casa. L’arte del volo. O quella di dimenticare.


domenica 18 maggio 2025

ZetaElle #34

Interferenze statiche, circuiti elettronici sperimentali, dissonanze senili, digestioni digitali in fluidi gastrici sonori, onde asimmetriche, spettri ciclici, la drum machine in sussulti di astinenza catodica - I microfoni sono accesi e qualcuno parla, fantasma apocalittico di sé stesso, spartiti polverizzati in sequenze di note cacofoniche e in sottofondo lo scorrere di ruvidi riff di un blues sacrilego e sepolcrale - Le ultime luci della città svanivano e si eseguivano gli ennesimi preparativi di un incontro clandestino che avrebbe preso forma nei seminterrati di un palazzo abbandonato - Scaffali di libri impolverati, lettere, riviste, annuari, le insolite sezioni di santi apocrifi e spettatori impazienti, sezioni di corpi, dissezioni di comportamenti - Interferenze statiche, lo scrittore scriveva in preda ad una frenesia formicolante, stazioni radio ronzanti, i rumori venivano creati da menti turbate, sembravano nascere da soli, si smorzavano in un ronzio estivo di cavallette impazzite, la semplice attesa di una tempesta elettrica, gli appunti sistemati su un tavolo. il boato di un urlo soffocato in gola, le sedie erano ancora vuote, l’attesa tangibile nel riverbero soffuso del bianco spazio circostante.

 

venerdì 9 maggio 2025

ZetaElle #33

 Ritardi necessari per rallentare i pensieri e i ritmi dei collassi psichici, qualcuno aveva richiamato Alain nei quartieri generali del Cie.Lo e lui aveva lasciato la sua forma terrena per dissolversi fra le nuvole di smog che avvolgevano la mia città o qualche inquinata metropoli cinese iperindustrializzata - Tutte le sue informazioni si erano disciolte in fluide teorie di cospirazioni orientali, in pandemiche alterazioni del pensiero ecclesiastico, virus evangelici, evirazioni della parola divina, evanescenti flagelli di fisionomie falliche, i giovani novizi eiaculavano codici cospirativi che altri agenti avrebbero ricevuto e tradotto in segmenti di senso semantico, i servizi segreti del seme avrebbero così potuto continuare il suo lavoro.

Avrei anche dovuto avere dei colloqui con Pedro (o forse terminarli sarebbe stata la scelta migliore), durante le prossime settimane e discutere con lui degli arrivi dei carichi di cocaina ed eroina dal Messico, dal cartello che rappresentava nei suoi accomodanti abiti ecclesiastici, che gli permettevano di muoversi con una notevole e invidiabile libertà fra le strade della città, travestimenti talari e infiltrazioni nel tessuto sociale giovanile dei quartieri periferici, dove avrebbe organizzato una capillare rete di spaccio metropolitano - Non cacate in chiesa, c’era scritto su un cartello - Voci e annunci e serie di ripetizioni feticistiche e l’odore della stazione la mattina e i corpi dei miserabili stesi per terra e le scie di percezioni invisibili e quelle della luce e le attese immobili e quelle del pensiero in una stasi dell’immaginazione che non ci avrebbe portato da nessuna parte.

Alain se ne era andato e nessuno sapeva più come contattarlo e rimanevano così solo supposizioni e strategie stranianti da applicare ai messaggi che continuavano ad arrivare - Esplodevano gli echi di guerre lontane, le continue crisi in medioriente e forse, un giorno, qualcuno ci avrebbe spiegato cosa fare, come collegare tutti i punti, come intrecciare i lucenti attimi della realtà e della follia, come dirottare la comprensione, come farla finita ed iniziare di nuovo, farla finita per sempre ed estinguerci.

La valigetta lasciata da Freddy vicino a una panchina, sul sedile di un vagone, vicino a un binario. La giornata pigramente si svelava, ho raccolto i pensieri come fossero bombe inesplose, senza dargli peso e importanza, poi misteriosamente sono scomparso. E le voci si sono fatte silenziose, tutte tranne una - Non cacate in chiesa, fratelli - I prossimi obiettivi erano ormai solo sanguinose ipotesi da verificare.


mercoledì 23 aprile 2025

ZetaElle #32

 Sequenze di combattimenti fra le strade e persone in fuga, i rumori in lontananza degli spari e un senso di panico e come una vibrazione nell’aria calda di qualche città marina del Sud America o del sud della Spagna - Lo scrittore camminava confuso cercando posti dove nascondersi e anche la via di ritorno per la casa nella quale aveva passato la notte sembrava essersi smarrita - C’era stata la messinscena di un tradimento nascosto da parte di una donna nei confronti del suo amante e lo scrittore, in un momento di erotico abbandono, se la era ritrovata a cavalcioni sulla faccia mentre le leccava la fica umida, i battiti accellerati del cuore nel timore di essere scoperto e il sesso, in qualche modo, stava svanendo dalla sua vita, ne rimaneva una simulazione mentale, i suoi contatti erano ridotti al minimo, la sua esistenza monastica, i libri, il silenzio, la meditazione - Poi c’erano dei biglietti aerei in una borsa e qualcuno che doveva partire e un incontro ai tavoli di un bar e alcuni regali che venivano scambiati - E i dibattiti e le cene degli anarchici, ai quali lo scrittore partecipava, bevendo vino e ascoltando le loro parole e poi improvvisa arrivava la voce di mio padre, così chiara e leggera,  mentre cantava, sembrava sgorgare da una sorgente nascosta nel suo corpo, cristallina, si espandeva nella stanza, in un fulgido movimento rettilineo, come una bandiera sonora da seguire e poi si alzavano le voci dei compagni e si inneggiavano altri canti e il vino girava e le gole e i cuori si scaldavano - I manuali per costruire armi ed esplosivi, le tecniche di guerriglia urbana, i libri di poesie, quelli di politica, i comunicati da stampare, le nuove strategie di difesa mediatica, l’annichilamento del capitale, la libertà dal lavoro, l’estasi della lotta armata - Si parte e si ritorna tutti insieme - Poi le strade, di nuovo, i ragazzi sulle scalinate di un centro sociale, la falce lunare nel cielo, il martello della musica techno, i compagni in prigione, lo scrittore camminava fra le strade della sua città, i doppi onirici distanti, seguito dall’ombra di sé stesso, le scritte di rivolta sui muri, l’oltraggio al pudore di un mondo senza più morale, Gideone libero, gridavano un tempo, chissà dove era andata a finire tutta quella rabbia, ospizi di sanpietrini stanchi e sconfitti, i prossimi incubi di una società allo stremo, piegata da sudicie mani, da danze suicide, il giornale chiuso sotto il braccio, una pistola nascosta, una stanza ancora lontana dove tornare. 

lunedì 21 aprile 2025

ZetaElle #31

 Immagini oniriche di Lynn dalla Spagna, scatti mentali di sequenze notturne all’interno di palazzi d’epoca e feste e appartamenti, gigantografie oscure di volti ed espressioni mentre la pioggia trasformava le strade in fiumi di detriti e fango e macchine e lo scrittore era in procinto di imbarcarsi su una nave psicotropa per una traversata del subconscio, alla ricerca di sostanze, che avrebbe trovato da un ragazzo arabo seduto sul ponte per poi andare a rintanarsi nella sua cuccetta per fumare hashish e compiere i suoi rituali. 
L’ombra tornava a turbarlo, a impossessarsi del suo corpo, lasciandolo come rapito in un turbinio di sensi alterati, fino all’inevitabile oblio e alla stanchezza dei giorni seguenti, in cui lo scrittore giaceva senza energie su un divano, senza la minima voglia di uscire di casa e di fare niente, in attesa, in una parentesi di tempo che poi allargava attraverso i respiri, si immergeva e riemergeva dallo spazio interiore e la narrazione diveniva di nuovo fluida e così lo scrittore cominciava un nuovo viaggio nella memoria, sentendosi più vecchio dell’uomo che in realtà era.
Freddy era tornato negli Stati Uniti, dove si sarebbe occupato dei brogli elettorali necessari per creare il giusto livello di caos nelle imminenti elezioni presidenziali e Ahmad era riapparso all’improvviso, portando con sé nuovi ingenti quantitativi di denaro che in un momento dato sarebbero stati investiti in attività sovversive. Industrie di vernici come coperture del capitale per le strategie reazionarie che ogni stato doveva sovvenzionare per mantenere il folle equilibrio tra anarchia e forze conservatrici. I venti della destra si erano alzati e portavano il solito tanfo di morte. Il mondo forse si stava preparando al suo prossimo collasso e in alcuni, compreso Zito Luvumbo, speravano che fosse anche l’ultimo. I morti a Gaza e nella Striscia, l’interminabile guerra tra russi e ucraini, il cambiamento climatico che sembrava la giusta risposta della Terra alla barbarie e alla stupidità umana. Qualcuno lanciava preghiere affinché il Pianeta si riprendesse tutto quanto. Novembre era arrivato e pareva di essere in primavera, non male se non si ha un cazzo da fare e ci si dimentica di chi si è e di chi si è stati, non male passare le giornate sulla terrazza nell’attesa che nulla accada, fra libri da leggere e film da guardare. 
Lo scrittore riprendeva le sue attività, lentamente e senza fretta, i giorni si sgretolavano e non aveva più molto senso cercare di capire cosa fosse successo.

venerdì 18 aprile 2025

ZetaElle #30

 In qualche modo le visioni delle coste dell’Andalusia stavano arrivando, insieme a quelle del Marocco e di giovani ragazzi che fumavano oppio sdraiati su luridi tappeti tra sporcizia e macerie nella periferia di città fatiscenti, sognando l’Europa e i documenti e la possibilità di una vita diversa che intanto sempre la stessa merda sarebbe stata. Loro, però, non potevano saperlo e continuavano a sognare e Zito Luvumbo avrebbe voluto parlargli e dirgli che la miseria rimaneva tale ovunque, soprattutto quella dei cuori e delle anime e che sarebbe stato meglio rimanere puri nella propria terra che ingabbiati all’interno delle stupide illusioni di un’altra.

Problemi di connessione con il mondo onirico, sequenze interrotte, icone metropolitane che si ripetevano in inquadrature diverse, una piccola terrazza protetta da cui si poteva osservare il doppio allucinato della città, nelle notti di pioggia e fuga interiore - Al tramonto i tetti dei palazzi venivano avvolti da colori acidi, lo scrittore non sapeva come scendere da quel luogo, come tornare fra le strade, come ritrovare la sua macchina (quando ne aveva mai avuta una?), come andarsene da lì. Poi apparivano una stanza, un bagno, le pareti dai colori scuri, blu, cobalto, verde marino, silenzio oceanico, poi arrivavano gli odori, in un’altra camera mentale, mentre lo scrittore camminava e squarci dell’infanzia si aprivano nella mente e poi le anfetamine cominciavano a fare effetto e così la giornata diveniva lucida nella sua percezione, nitida e lucente e lunghe camminate nel sole e nell’ombra, con l’estate che volgeva al termine, con improvvisi temporali e tempeste elettriche nel buio, oltre le vibrazioni catodiche di schermi fumanti. Lo scrittore si sdraiava sul letto, in una posizione sospesa, vaghi ricordi di una tenda in un campo, il sentore della pioggia, il tuo corpo distante, il naufragio dei sensi, quello della ragione.


lunedì 14 aprile 2025

ZetaElle #29

 Paul era stato licenziato dall’Agenzia della Sovversione Onirica ed era fuggito in luoghi caotici popolati da persone che si muovevano solo con delle biciclette e dove era stato abolito l’uso del motore e della benzina e teneva lezioni in seminterrati fumosi e pieni di gente, mentre parlava di poesia e alcolismo e ricordava i suoi giorni di travestimenti psichici, quando si infiltrava nei gruppi neofascisti per sabotarli dall’interno. 

Zito Luvumbo aveva preso parte ad una simulazione onirica, nella quale avrebbe dovuto recitare la parte di un diplomatico all’interno dell’ambasciata afghana e avrebbe dovuto parlare con l’ambasciatrice, donna misteriosa dai molti poteri paranormali. Seduto su una poltrona davanti alla scrivania in mogano della finta ambasciatrice, la cui parte era stata affidata ad una collega che non conosceva, era stato toccato sulla fronte da una lunga bacchetta di metallo che lei maneggiava con la destrezza di una sacerdotessa dell’occulto e appena la punta dell’oggetto alchemico aveva toccato la sua fronte Zito Luvumbo aveva iniziato a cadere al rallentatore all’indietro, avendo l’impressione che anche la poltrona sulla quale era seduto si stesse muovendo nella medesima direzione e forse l’intera stanza stesse compiendo quel lento movimento a ritroso e poi si era ritrovato in posizione orizzontale in un’altra camera, con i polsi e le caviglie legate e l’ambasciatrice, che ora indossava una uniforme, gli stava facendo delle domande - Era dunque così che gli interrogatori venivano pianificati e messi in scena.

Lo scrittore era appena uscito da uno degli incontri con Paul, che era stato invitato ad una delle serate anarchiche che lui frequentava, ormai senza più doppifini o doppigiochi da portare avanti e aveva ascoltato le sue parole e gli erano sembrate interessanti e poi se ne era andato in bicicletta con Lorenzo, avevano fatto un pezzo di strada insieme, prima di separarsi e questo  scenario notturno urbano era diventato quello di una campagna, simile ai luoghi che aveva visto per anni in Galles e lungo il pendio di una verde collina c’erano dei tronchi enormi, alcuni intagliati in figure totemiche e lo scrittore ci si era avvicinato, fino ad averne una visuale dal basso e da qualche parte ci doveva essere una festa e gente in vena di fare scherzi e divertirsi e lo scrittore ha pensato ad una casa isolata fra i boschi e a come ci sarebbe potuto arrivare, poi in lontananza è apparso il mare e la voce di chi gli stava intorno si è persa nell’aria e nel cielo e lui ha ripreso la bicicletta, andandosene da lì, pedalando su strade invisibili di ricordi svaniti.


lunedì 7 aprile 2025

ZetaElle #28

 Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei quartieri, con assalti di bande di latinos ai negozi dei bengalesi, le risse davanti a Termini o nelle stazioni metropolitane vicine per il controllo delle attività di borseggio e spaccio, infiltrazioni all’interno delle manifestazioni, lancio di oggetti e bottiglie contro la polizia, incendi dolosi nelle discariche, immissione nel mercato di nuove sostanze stupefacenti. 

Zito Luvumbo incontrava persone, dava suggerimenti e mai ordini, perché quel tipo di comunicazione e attitudine non rientrava nella sua natura, organizzava, creava trame alternative, inventava gli intrecci, poi spariva così come era venuto. 

Non aveva sempre lo stesso aspetto, ma gli altri quando lo incontravano, sapevano che era lui e seguivano, alla lettera, come ipnotizzati, le sue parole. Aveva diversi appartamenti, nella città, in cui abitare, denaro a disposizione, macchine per gli spostamenti. Eppure c’era sempre un territorio psichico, un luogo neutrale al suo interno, che Zito Luvumbo lasciava libero e nel quale trovava l’energia per ricaricarsi o per allontanarsi dalle sue azioni. Uno spazio sicuro dal quale osservarsi senza mai nessun giudizio, perché oltre i limiti delle nostre presunte protezioni era la vita stessa a condurci e ciò che facevamo perdeva importanza perché era il semplice susseguirsi dei nostri gesti a riempire il tempo e così non c’era più molta differenza fra un percorso e un altro, un modo di condotta e il suo opposto - Dal di fuori, dagli occhi di un testimone idealisticamente neutrale, tutto non era altro che un’allucinazione, una messinscena psicotica. Un subbuglio di avvenimenti caotici. Era compito dello scrittore, poi, dare forma e possibilmente stile a questo materiale. 

Zito Luvumbo a volte faceva anche il suo lavoro, altre, invece, si immergeva nei personaggi, sconfiggendo paura e noia, asservendosi alle esigenze di scena, al denaro e alle ricompense, uccidendo il pensiero per sublimare se stesso nella bellezza del gesto, dell’atto di rivolta o punizione.

La città era in subbuglio e le nuove strategie stavano per essere sperimentate, insieme al perfezionamento delle vecchie. Migliaia di stranieri, di immigrati, di poveri, di miserabili erano pronti per essere arruolati e usati. Poi il silenzio delle strade livide all’alba quando Zito Luvumbo camminava solitario fra le prime luci del giorno, fuori dagli obblighi della finzione, scrutando il mondo che avrebbe voluto e che poi, per amore del caos, avrebbe senza ragione distrutto.


sabato 22 marzo 2025

ZetaElle #27

 Scriviamo nel parco, propose lo scrittore o almeno proviamoci, proprio ora che non c’è nessuno e gli alberi sono quiete presenze e ci sono file impazzite di formiche che si arrampicano ovunque - Te li ricordi gli acidi e le tende e le nuvole e gli stendardi al vento al festival di Glastonbury? Quando gli Oasis hanno cominciato a suonare e quanto eravamo giovani, solo fragili e innocue figure nel tempo.

Freddy aveva portato la valigetta con i contanti per i finanziamenti illeciti e per l’acquisto di droghe e armi e Zito Luvumbo lo aveva incontrato in un bar vicino alla stazione, aveva preso la valigetta con i soldi e poi era svanito nel bel mezzo di una strada per riapparire poco dopo nelle vesti sporche di uno straccione addormentato fuori da una baracca, sotto i piloni anneriti della tangenziale, accanto alla stazione Nomentana, una baracca che si era costruito da solo, con i residui delle svanite speranze di ogni miserabile - Accendeva un fuoco fra alcune pietre, dove cucinava le sue povere cene e questo vagabondo sognava di Zito Luvumbo e dei suoi affari, dei viaggi e delle sue molte vite e al risveglio si dimenticava di tutto e solo così Zito Luvumbo sarebbe riapparso all’interno di una stanza arredata con cura e avrebbe parlato con i presenti dei suoi prossimi piani, delle tecniche di guerriglia psichica, dell’arte del non fare e di quella del sognare.

Lo scrittore immaginava pause e ne cambiava le prospettive, i tunnel onirici si aggrovigliavano e non c’erano risvegli improvvisi e sorprese, solo l’attesa silenziosa dell’alba e la tua pelle addormentata al mio fianco e i tuoi occhi al mattino, quando si aprivano e guardavano il mondo come se lo vedessero per la prima volta.


mercoledì 19 marzo 2025

ZetaElle #26

 Strani intrecci e stralci onirici e sottotrame sotterranee nei tunnel di una metropoli immaginaria, dove (sugli spalti) venivano sepolti cadaveri squisiti e le avanguardie recitavano requiem sepolcrali per ratti reticenti alla luce del giorno, nel buio si svolgevano deliri ossequiosi e pantomime del potere e Padre Piotr era venuto in visita ad uno scrittore febbricitante, steso su un divano, nel pieno di un attacco febbrile a quaranta gradi, in cui visioni e allucinazioni prendevano forma nel teatro della sua mente, in una schizofrenica rappresentazione della dualità umana e accanto a lui Padre Piotr lo ascoltava cercando di capire e carpire segreti, di delineare i contorni di un complotto mondiale che ci avrebbe riguardati tutti, spettatori e partecipanti. 
Qualcuno si era votato all’impossibile, nella ricerca di un estetismo estremo, di un piacere carnale lacerante, mentre osservava nubi di fumo scorrere sul soffitto di una stanza autunnale, mentre fuori si ripeteva il ciclo delle stagioni e l’ombra dello scrittore era libera di abbandonarsi alle sue fantasie e sprofondare fra coperte e cuscini, osservando il fuoco e sperando che non ci fosse nulla da fare per le settimane a seguire, la pura contemplazione delle fiamme avrebbe già appagato la sua anima.
In un raduno di fotografi erotomani e goderecci qualcuno aveva parlato di intelligenza artificiale e mostrato le creazioni della macchina ormai dotata di intelletto e che cazzo me ne poteva mai fregare si ripeteva lo scrittore, ormai ripresosi dai sui vaneggiamenti termici, poi allungava la mano verso uno sconosciuto per farsi riempire di nuovo il bicchiere di vino. 
Il viaggio verso casa era stato fluido, carico di una coscienza alcolica e automobilistica, con la musica che usciva dalle casse e chissà quali altri ricordi che si rincorrevano nella sua memoria e il raccordo che cambiava gli scenari laterali e un senso di leggerezza nel cuore, perché era notte e non ci sarebbe stato nessun domani.

lunedì 17 marzo 2025

ZetaElle #25

 Zito Luvumbo aveva fatto perdere le sue tracce, tanto che lo scrittore si stava chiedendo dove fosse finito. Anche i suoi contatti erano scomparsi e così le pagine del romanzo, della sceneggiatura, di un altro sconclusionato e delirante manoscritto rimanevano libere di espandersi senza il bisogno di nessuna trama o direzione narrativa.

Arrivavano immagini dall’isola di Madeira, con feste notturne ed escursioni nella nebbia che avvolgeva verdi vallate piene di enormi piantagioni di banane. E lo scrittore si vedeva nascosto in un fattoria, in una di quelle valli, ad assumere allucinogeni locali, piante, semi, cactus, funghi (sempre ammesso che ce ne fossero) e a immedesimarsi nella vita di un possibile rifugiato psichico, un lunatico avventuroso approdato su quell’isola nella remota illusione che nessuno lo avrebbe trovato e gli avrebbe rotto i coglioni con i suoi problemi e le sue persecuzioni emotive. E in un certo momento letterario Zito Luvumbo lo avrebbe raggiunto, senza però riconoscerlo, i due si sarebbero seduti ad uno dei tavolini di un bar del porto, guardandosi e rimanendo in silenzio, in improvviso contatto telepatico, per poi svanire all’interno dei rispettivi destini.

Aveva piovuto e l’aria odorava di pioggia e di terra e di alberi e lo scrittore avrebbe voluto trovarsi in qualche bosco, magari nel Galles centrale, all’interno di un rifugio fatto di tronchi e pietre con solo l’essenziale e avrebbe voluto vivere lì per un po’, con le azioni quotidiane che avrebbero riempito il tempo e poi quello rimanente si sarebbe disciolto nei sogni, nella scrittura, nei ricordi.

Lo scrittore si era riempito un bel bicchiere di vino rosso e aveva osservato il cielo, gli piacevano i suoi colori plumbei, acquosi, striati di sfumature rosa e arancioni: una sutura di dolce incandescenza. La notte si era addormentato con il rumore della pioggia e aveva sorriso a sé stesso, sentendosi bene, da solo, nel letto, nel silenzio di momenti sospesi. Alla vita lui apparteneva e da essa fuggiva per finire nello spazio vuoto oltre i ricordi, le speranze e le nostre iridescenti disfatte.


lunedì 10 marzo 2025

...

 "Sono passati tanti e tanti anni da quando F. aveva detto: Ogni giorno che passa sei più solo. È successo anni e anni fa. Che cosa intendeva dire F. suggerendomi di leccarla a una santa? Che cosa è un santo? Un santo è qualcuno che ha realizzato una remota possibilità umana. È impossibile dire quale sia questa possibilità. Credo che abbia qualcosa a che fare con l'energia dell'amore. Dal contatto con questa energia scaturisce l'esercizio di un certo tipo di equilibrio nel caos dell'esistenza. Un santo non dissolve il caos; se lo facesse, il mondo sarebbe cambiato da molto tempo. Non credo che un santo riesca a dissolvere il caos neanche per se stesso, perché c'è un che di arrogante e bellicoso nel concetto che un uomo rimetta in ordine l'universo. La sua gloria sta in una sorta di equilibrio. Viaggia sui cumuli di neve come uno sci che si è staccato dal piede. Il suo percorso è una carezza della collina. Il suo cammino è un disegno della neve nel preciso momento di una sua particolare disposizione di vento e roccia. Qualcosa in lui ama il mondo a tal punto che si abbandona alle leggi di gravità e del caso. Lungi dal volare con gli angeli, traccia con l'esattezza dell'ago di un sismografo lo stato del paesaggio, solido e insanguinato. La sua casa è pericolosa e finita, ma lui si sente di casa in ogni parte del mondo. Riesce ad amare le forme degli esseri umani, i profili del cuore belli e contorti. È un bene avere fra noi uomini del genere, mostri dell'amore che ristabiliscono l'equilibrio"

Leonard Cohen
Beautiful Losers 

lunedì 24 febbraio 2025

ZetaElle #24

 La città in agosto: vuota, silenziosa, sospesa. Quasi un miracolo, pensava lo scrittore, mentre passeggiava per il parco vicino alla casa dove viveva. Un attico che d’estate si infuocava, togliendogli ogni energia, schiacciandolo sul letto, facendo sciogliere i suoi pensieri in liquide fantasie. Accendeva un vecchio ventilatore, giusto nelle ore più calde, poi si sistemava sulla terrazza, il tardo pomeriggio, almeno lì un po’ d’aria tirava. Passava le giornate leggendo o mettendosi a scrivere, la mattina presto o al tramonto. Questa amniotica esistenza gli ricordava l’estate che aveva passato a Orgiva, qualche anno prima, nell’appartamento di Sara, rileggendo romanzi che aveva scritto e che nessuno avrebbe mai pubblicato, aspettando e nascondendosi, in sintesi il suo ideale di vita.

Le notizie delle guerre, degli omicidi estivi, del cambiamento climatico, queste notti tropicali che avrebbe avuto più senso passare in qualche giungla peruviana, in un villaggio, assumendo ayahuasca all’interno di cerimonie sciamaniche e concentrandosi poi sullo studio delle civiltà precolombiane, queste notti di un cielo violaceo e ricordi di fuochi e smarrimento nell’oblio che l’etere del subconscio creava, questi giorni dedicati all’ozio, al tempo per sognare in uno stato di semi incoscienza, arrivavano i ricordi, come sempre, quelli dell’infanzia, dell’adolescenza, di una casa in campagna ormai perduta nel tempo e per questo ancora più preziosa e suggestiva.

Qualcuno immaginava complotti planetari, come se ci fosse una narrazione segreta e invisibile che ci coinvolgesse tutti quanti, a volte composta da misteriosi fili che collegavano segmenti di eventi segreti, altre con il maniacale lavoro sui dettagli, affinché le storie fossero credibili, in molti ripetevano versioni differenti, fino a quando si strutturasse una trama plausibile, affidabile, da esibire in parole e foto attraverso i più svariati mezzi di comunicazione, il rincoglionimento globale continuava a pieno ritmo, lo scrittore pensava di nuovo a luoghi isolati nei quali smarrirsi dentro se stesso e lasciare alla propria fantasia il compito di pensare al resto.

Tra pochi giorni la città avrebbe cominciato di nuovo a muoversi: frenetica e paranoica. Sciami di persone verso la scuola o il lavoro. I soliti percorsi, le stesse direzioni di sempre. Lo scrittore apprezzava la quiete della stasi. Lo scrittore rimaneva ore a guardare le nuvole passare. Le loro forme, la loro sinuosa e mutevole bellezza. Altre identità verrano a cercarti e tu sarai loro e loro saranno te. E un improbabile intreccio nascerà da tutto quello che rimarrà al di fuori delle tue azioni.


lunedì 17 febbraio 2025

ZetaElle #23

La città era ancora calda e vuota e potevo camminare per i parchi senza che ci fosse nessuno intorno e riconoscevo gli alberi, la loro presenza, la voce delle foglie che si muovevano nell’aria - Camminavo, la testa senza pensieri, poi mi sedevo su una panchina a guardare la luce, il cielo, le ombre, la quiete dorata del mondo in un solitario pomeriggio estivo - Le pause, i momenti in cui il lavoro era scomparso di nuovo e potevo rimanere libero di sognare, leggere, ricordare, il tempo che si sdraiava insieme a me sul divano, curvandosi fino a diventare liquido e amniotico, quasi inesistente - Cambiavano i colori, le emozioni della memoria, il lento approssimarsi della sera e c’era da chiedersi perché fossi tornato qui e quanto sarebbe durata questa ennesima farsa, perché non avessi scelto di interpretare un nuovo personaggio e mi fossi calato in una vecchia parte, migliorata di certo, ma sempre ripetuta e poi gli avessi dato spazio e vita, forse solo per sentirmi sicuro al suo interno, forse per non dover cedere ai rischi e alle incognite di una costante improvvisazione alcolica, anche se sentivo di intensificare le sfumature interiori di ogni performance che mettevo in scena e così questa decisione era risultata la migliore fra quelle a disposizione, senza trasformazioni lisergiche e fughe cognitive, continuavo, comunque, a cercare piccole parentesi di anarchia, grottesche e bizzarre situazioni in cui ciò che mi era richiesto di fare e per cui venivo pagato finiva e così tornavo a vagare, ad essere l’altro, l’ombra sui muri e sulle strade, quello che con un sorriso avrebbe rapidamente abbandonato tutto, solo per rimanersene in silenzio, a passeggiare in un bosco.

Tra una settimana o poco più la gente sarebbe tornata dalle ferie e lo scrittore avrebbe cominciato a riprendere le sue oscene attività solipsistiche e avrebbe cercato tabacco e hashish e invocato spacciatori invisibili, per aprire poi gli occhi di notte, la luna alta e tonda nel cielo scuro, senza idee per le sue storie, senza personaggi, al culmine della sua follia, nell’attesa di un equilibrio, di una illusoria panacea che durava quanto un ciclo lunare, quando le forze di creazione e distruzione si fossero annullate a vicenda e lui sarebbe tornato a distendersi sul letto, a respirare con gli occhi chiusi.

Nei sogni assumevo volti diversi e sostanze psichedeliche misteriose e vedevo le mie sembianze attraversare lo specchio e sciogliersi oltre di esso, per poi uscire e smarrirmi fra queste strade che il sole inchioda a destini di sporcizia e catrame.


sabato 1 febbraio 2025

ZetaElle #22

 Arrivavano ancora riviste di design e architettura ad uno dei falsi indirizzi che lo scrittore aveva lasciato, ogni tanto qualcuno andava in quegli appartamenti e ci viveva, amici o amiche dello scrittore, a volte era lui stesso, travestito da vagabondo, a passare alcuni giorni fra quattro mura confortevoli, per poi perdersi ancora, rimettersi in viaggio, fuggire o svanire. 

Lo scrittore aveva deciso di passare l’estate fra le dune dalle parti di Torvajanica, si era portato dietro una piccola tenda e lo stretto necessario per sopravvivere alcune settimane. C’erano altri ragazzi intorno a lui che avevano avuto la sua stessa idea, solo che loro lo facevano per necessità. Per lo scrittore, invece, era solo un modo per inventarsi e inscenare un’altra vita. L’hashish non era un problema trovarlo, qualche sera giravano le pasticche, un paio di volte gli si erano sciolti sotto la lingua degli acidi. Mangiava quasi esclusivamente frutta, che andava a comprare da un arabo poco distante dal luogo in cui si trovava. Usava i cessi dei piccoli stabilimenti sulla spiaggia, una birra ogni tanto o un cocktail alla sera, le docce erano libere, il quaderno per gli appunti e gli scritti, qualche vestito, la maggior parte del tempo era in costume, sotto l’ombrellone e la notte su una stuoia. I ragazzi accendevano falò e facevano feste, la musica, le risate, le droghe. I finesettimana la spiaggia si riempiva di persone e cani. Gli altri giorni era più tranquillo starsene per i fatti propri o scambiare due chiacchiere con chi passava e veniva, rimaneva un po’ e poi scompariva. I profili dorati delle dolci e giovani ragazze, abbronzate e sorridenti, quando se ne stava seduto all’ombra di un chiosco e le vedeva passargli davanti, mentre lui osservava con calma cosa succedeva intorno, sorseggiando una birra, disegnando mentalmente personaggi che le poi le parole avrebbero delineato e lasciato sfumare nello scorrere delle pagine e del tempo. 

Loop anulari lungo il Grande Raccordo Mentale, giri psichici ad alta velocità ed alta definizione, ogni uscita la possibilità di un quartiere in cui le suggestioni metropolitane diventassero spunti narrativi. I riflessi sui palazzi, le vetrate degli uffici, quelle dei negozi di lampadari. L’ultima luce del sole in un mosaico di riverberi incandescenti, Gli sarebbe piaciuto vivere per qualche settimana dentro uno di quei negozi, giusto per vedere fino a che punto la realtà si potesse scindere nelle scintille del subconscio. Seduto su una poltrona. A chiacchierare con clienti invisibili.


sabato 25 gennaio 2025

ZetaElle #21

 I sogni del mare e quelli dell’adolescenza e una barca per solcare acque sconosciute e arrivare in piccoli porti dove incontrare amici perduti, come se da qualche parte ci fosse ancora un luogo di libertà per ricordare quello che eravamo stati, per recuperare quell’energia dispersa, che poi era il mondo a portarti via, un’energia sprecata nella banalità dell’esistenza o nel quotidiano ripetersi di ogni lavoro, qualunque esso fosse. 

C’erano manifesti anarchici che Zito Luvumbo aveva letto, attaccati sui muri dei quartieri periferici, manifesti che incitavano alla rivolta e alla fine dello sfruttamento e di ogni guerra. Zito Luvumbo si guardava le mani e a volte erano del colore dell’ebano e si ricordava della sua razza e di quanto misteriosa fosse la propria natura e del suo mutevole aspetto e anche dei suoi simili che lavoravano per ore, come schiavi, in immensi campi sotto al sole, a raccogliere verdura e ortaggi senza che ci fosse nessuno a proteggerli o a spiegargli i propri diritti o a inventare storie nelle quali l’umanità prendesse forme diverse da quelle dell’abuso e della violenza.

Erano crollate ali di enormi palazzi e ponti sopra la città e l’estate continuava torrida e implacabile e Zito Luvumbo proseguiva con le sue passeggiate, a piedi o in bicicletta, le sue serate sulla terrazza ad ascoltare il mare e le stelle, prendeva appunti su un quaderno, si addormentava in silenzio, respirava e sognava.

E poi il ridestarsi di un ricordo e le sue immagini e una vecchia inquietudine che lo spingeva a muoversi di nuovo e Zito Luvumbo correggeva i testi che qualcuno gli mandava e sostituiva vocaboli e nomi e così la narrazione prendeva svolte inaspettate e una volta che il grande calore fosse passato anche le direzioni da prendere sarebbero diventate più nitide, giusto per un attimo, prima di sfocare nell’amniotica quiete di una decisione, dello spazio al suo interno, grandi vetrate e aria condizionata e luce calma e la vaga sensazione di essere come in un acquario, ad osservare il paesaggio all’esterno, quell’isola, il suo profilo lontano.

Lo scrittore e il suo vecchio amico parlavano, discutendo se rimettersi in mare su una barca o meno. Poi si erano separati, si erano allontanati, perché lasciarsi giustificava la propria solitudine. Lo scrittore si insinuava nella psiche del suo passato, lo osservava e sapeva che quell’insieme di racconti andava distrutto, ci sarebbe stata un’esplosione, al largo, il battello sarebbe andato in fiamme e non ci sarebbero stati soccorsi e superstiti.

Lo scrittore tendeva l’orecchio nell’attesa che qualcuno chiamasse il suo nome ben sapendo che erano in pochi, ormai, a ricordarselo.


domenica 12 gennaio 2025

ZetaElle #20

 Ancora antichi borghi, profili di anziani seduti nell’ombra, ricordi di pellicole mai girate se non fra le piaghe di menti raggrinzite e di nuovo le trappole delle sostanze e uomini dal volto sudato, accasciati sulle scale all’interno di ennesime interzone psichiche - Una bottiglia di birra prima del mezzogiorno, un’altra sigaretta fra le labbra, membri di band punk inesistenti fumavano e chiacchieravano, i tatuaggi come chiazze di stupidità fra le braccia - Le rondini attraversavano le onde calde dell’aria e planavano sulla superficie di una piscina per poi tornare a volteggiare nei loro pirotecnici cerchi, lo sguardo dello scrittore seguiva quelle scenografiche traiettorie e il vento voleva voltare pagina e le case dell’infanzia e il suo nome chiamato da voci scomparse e le colline si muovevano in paesaggi aridi e sinuosi, con improvvisi filari di pioppi che tagliavano i campi e le forme aliene e verdeggianti dei boschi e quelle geometriche degli uliveti e un senso di quiete e di calma e la sonnolenta pace del pomeriggio e le tende che oscillavano come in una danza araba e le nuvole che volteggiavano lente senza assumere i contorni di bizzarri animali e qualcuno in una stanza stava pianificando futuri complotti e storie sovversive con picaresche partiture sonore, i guaiti, i gemiti, le urla, i sussurri, le grida, i sospiri, le stelle cadenti nel cielo nella notte di San Lorenzo, i baci rubati nell’adolescenza, le scie lucenti di amori svaniti, lo scrittore era sdraiato su un’amaca, il bicchiere di vino in una mano, il lento e ipnotico dondolio del tempo, un respiro di malinconica eternità che fioriva sulle labbra, perché sapevamo che il ritorno era il futuro di ogni rinuncia, di ogni breve pausa, fra mura sgretolate, in stanze silenziose, nell’eco di una risata, nel passare dei giorni, chiusi ad aspettare, il ripetersi delle storie, l’inizio di una nuova sconfitta.

Warsaw #1

  Apparivano le case, i balconi, le tende, i graffiti sui muri, tutto scorreva come le sequenze di un sogno, come se stessi partendo ancora,...