martedì 6 dicembre 2011

I know



Aveva le mani che gli tremavano leggermente mentre si accendeva una sigaretta e continuava a tossire. Ogni tanto mi guardava negli occhi ed era bello entrarci dentro anche se qualcosa mi turbava, qualcosa che si era perso nel suo sguardo, non so quando durante la sua vita. Erano anni che non lo vedevo eppure mi ricordavo di quando eravamo stati ragazzi insieme. A scuola. Ad amare l’identica ragazza.
Gli ho chiesto cosa facesse lei, adesso. Lavorava come segretaria in uno studio e ogni tanto faceva il manichino, così mi ha detto, non ha usato la parola modella, ha detto un manichino, come quelli di legno e alcune persone le mettevano sopra dei vestiti e mi ha detto che una sera lei l’aveva chiamato e gli aveva chiesto se la sua ragazza la poteva fare entrare in un locale, era ubriaca e, a quanto pare, felice.
Gli ho detto che insegnavo e che mi sarebbe piaciuto fare il suo lavoro, il montaggio. Continuavamo a guardarci negli occhi, ogni tanto.
Eravamo fuori dalle poste e lui aspettava il suo turno. Sono rimasto un po’ in silenzio, poi gli ho detto che dovevo andare. Un paio di ore prima avevo assistito ad un funerale, in una chiesa, rimanendo in piedi vicino all’uscita. Non mi sono mai piaciuti i funerali e i discorsi del prete. Non portavano mai calma e pace nel mio cuore, ma solo una rabbia sorda. Avrei fato meglio a rimanere a casa, ma ero andato lo stesso. Avevo salutato la mia collega il giorno prima, portandole una rosa in ufficio, mettendola sulla scrivania dove l’avevo vista quasi ogni giorno per più di due anni.
Ho lasciato il mio amico ad aspettare il suo turno, le foglie cadevano dagli alberi, per un attimo gli ho voluto chiedere che rapporto aveva con le droghe, adesso, o meglio, se ce l’aveva ancora quel rapporto. Anche l’amore poteva essere una dipendenza. Di lei me ne ero liberato da tanti anni. Il cielo stava diventando nuvoloso. 

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