Le ultime tre settimane le avevo passate nella sala montaggio. Le
immagini scorrevano avanti e indietro. Tagliavo, sceglievo scene, mettevo
dissolvenze. Cercavo il ritmo, il segreto del tempo. Rivedevo le sequenze
montate decine di volte. Questo non andava, lo sentivo, mi toccava ricominciare
da capo. Lavoravo soprattutto di notte, davanti al computer, gli occhi rossi,
una sigaretta dopo l’altra. Lei mi faceva compagnia, mi dava consigli, alcune
volte si addormentava sul divano. Ogni tanto, verso le quattro di mattina, una
birra, una canna d’erba, giusto per rilassarsi, per allargare il nostro
orizzonte. Poi di nuovo gli occhi davanti allo schermo, ancora tagliare, ancora
ritmo, questo può andare bene, si, è così che deve essere, poi spegnere tutto e
riposarsi e il giorno dopo riguardare quanto montato. Se dentro di me sentivo
salire quella sensazione che solo io conoscevo significava che il lavoro era
stato fatto bene.
Qualche sera andammo dal Vecchio Sciamano. Io e lei prendevamo la
macchina e ci dirigevamo verso la sua casa. Lui era lì, seduto nel salotto, su
un tappeto logoro con delle candele accese tutte intorno. I nostri discorsi
iniziavano con la solita domanda di rito – Cosa hai sognato, ragazzo? Io gli
raccontavo i miei sogni e lo stesso faceva lei, gli parlavo di quei luoghi in
cui mi ritrovavo a camminare, delle strade, delle persone che incontravo. Lui
dondolava la testa e lentamente annuiva, ogni tanto intonava un canto sommesso,
altre volte sembrava addormentarsi tra le mie parole. Pensavo che cercasse di
raggiungere i luoghi che gli descrivevo e non andai molto lontano dalla verità.
Lui aveva questa abilità, questo potere. Sapeva entrare nei sogni, nei miei o
in quelli di chiunque altro.
Gli raccontai di quelle volte in cui mi ero sentito smarrito,
quelle volte in cui non riuscivo a trovare una porta o una strada o in cui
perdevo treni o aerei e mi ritrovavo da solo a vagare dentro stazioni, tra
facce sconosciute, in preda ad una strana paura, quella di non poter tornare
indietro, quella di essere stato dimenticato.
Una notte ci diede da fumare una mistura a base di funghi sacri
minuziosamente triturati. Ci addormentammo tutti e tre e lui ci fece da guida
in quel mondo magico e perfettamente visibile dai nostri occhi socchiusi. Ci
insegnò alcune cose, come muoverci, come andare velocemente da una parte ad
un’altra, ci mostrò alcuni pericoli, alcune azioni che non andavano fatte, le
nostre possibilità, un altro modo di essere, di vedere e percepire la vita.
Poi di nuovo nella sala montaggio, questa volta più rilassati, il
film era quasi finito. Avevo lavorato bene, il regista sembrava soddisfatto,
un’altra settimana per perfezionare il tutto e poi il materiale sarebbe passato
ad altri, per la colonna sonora e il missaggio audiovideo. Mi potevo ritenere
soddisfatto.
E giorni, notti stellate e freddi deserti, una volta fuori da
quella sala buia. Che fossero luoghi reali o meno non aveva importanza, che
fossero sogni o crude verità non ce ne poteva fregare di meno. Filavamo da un
posto ad un altro sentendo musica tutto il tempo che eravamo in macchina, avevo
l’ultimo disco dei Tool, 10000 days, tutta l’altra musica ormai mi sembrava
superflua. Una settimana ce la spassammo in questo modo, per dimenticare il
lavoro, per dimenticare nottate da vampiri succhiando immagini per tenersi
vivi. Che fosse il sole o la luna a farci compagnia non aveva importanza, noi
continuavamo il nostro viaggio, dormendo in motel fatiscenti e città fantasma.
Che fossero solo le nostre fantasie o la nostra immaginazione a tenerci a galla
non era qualcosa di cui preoccuparsi, l’importante era continuare a crederci ed
andare avanti.
E mentre le stelle voltavano verso destra e noi ci immergevamo in
un viaggio astrale indotto dalla mescalina, completamente nudi e distesi su una
spiaggia, alcuni spiriti vennero a farci visita, parlai con delle pietre sparse
sulla sabbia, poi acquisii nuova lucidità, scopai con lei per un tempo
immemorabile e diventammo pura luce, luce dagli occhi. Poi ci sciogliemmo nel
mare. Venni in un getto infinito di schiuma bianca.
L’alba che ci accolse aveva gli stessi colori della creazione.
Ci svegliammo abbracciati, nell’aurora del mondo.
Non dico che fossimo felici, perché chi può dire cosa sia la
felicità.
Eravamo solo svuotati da qualsiasi desiderio.
E per questo puri come la luce stessa.
Che non sa nulla del suo esistere e corre veloce a svelare mondi e
illusioni e tutto quello che vorremmo tanto poter toccare e un giorno fare
nostro.
La luce, guida e miracolo degli occhi.
Fermai la mente.
Le immagini continuarono a scorrere su uno schermo ormai vuoto.
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