Il
gatto è sdraiato sul divano, gli occhi socchiusi e la luce che entra dalle
finestre è così bassa da proiettare le ombre dei vasi su una parete. I colori di
un tramonto che si sciolgono sui muri. Ci sono altre stanze e altre vite e
figli e storie da raccontare, quelle da scoprire, quelle da inventare e le
scopate durante la notte o la mattina presto, le pasticche blu, divise e
inghiottite sotto un’avvolgente coperta di piacere e i brividi delicati che
attraversavano un’intera generazione abbracciata da un amore chimico. Rimanevano
volti e sguardi e sensazioni, suoni e immagini che si potevano cogliere, i
residui psichedelici che ancora emanavano le alterazioni visive. Il letto con
le coperte e i cuscini indiani e la musica degli Underworld, fare un passo
indietro, camminare verso il passato e ricostruirlo nella propria mente, ancora
una camera in cui trascorrere le mattinate, le parole da scrivere, quelle da
leggere, quelle da cambiare, l’odore dell’incenso e le sequenze oniriche da
rimontare dopo il risveglio, passaggi improvvisi e varchi da attraversare, il
calore di un corpo, il flusso interiore che scorre nel silenzio dei pensieri. Ti
fermi a guardare cosa sei stato, chi hai creduto di essere, gli ultimi discorsi
alcolici prima di stendersi sul proprio inconscio, lei sdraiata al tuo fianco,
sembrava così semplice adesso lasciarsi andare, lo sapevano il tuo cuore e
anche il tuo cazzo, i battiti e lo sperma e la luna che ammirava maliziosa i
segreti degli amanti.
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