mercoledì 3 gennaio 2018

Cymru #22

I paesaggi apparivano ondulati, i colori che Zoe sceglieva nella mente, le canzoni composte durante la notte, mi domandavo se quella donna trasformasse le sue note in scopate, se quegli stessi brividi che la sua voce creava attraversassero anche le colonne vertebrali dei suoi amanti.

Lo scrittore ripensava al modo in cui lei nascondeva il volto con i capelli mentre lui cercava i suoi occhi, le sfumature rossastre delle foglie d’autunno, la sua pelle che non aveva mai accarezzato, adesso lui era seduto davanti a un tavolo di legno e osservava le ombre, le loro forme e i riflessi di luce sulle superfici di plastica e metallo e c’erano fogli e appunti e frammenti di discorsi ovunque e la faccia di Hinton mentre parlava delle sue prime esperienze con l’acido, nessuno sapeva cosa fosse, nessuno si immaginava quali effetti producesse e c’erano stati errori e sbagli e rivelazioni così profonde che avevano spaccato barriere psichiche e mentali, danni, improvvisazioni schizofreniche che gli attori avevano canalizzato in interpretazioni psicotiche e folli, il metodo Stanislaski stravolto da immedesimazioni lisergiche e certo, diceva Hinton, certo che lo avevamo provato l’amore libero (anche se nessuno glielo aveva chiesto), si scopava tra di noi senza pensarci troppo sopra ma alla fine è stato un fallimento e dopo un po’ di settimane e mesi sono cominciati a spuntare fuori (come funghi, suggeriva ghignante una sedia) bambini e bambine e hanno iniziato a riempire il nostro spazio con i loro piccoli corpi e i suoni e gli sguardi e la vita che andava avanti da sola, che noi ne fossimo coscienti o meno e poi lui è partito per Copenaghen, con un furgoncino, allontanandosi e perdendosi fra le fredde visioni del Nord Europa e le coltivazioni nascoste di skunk, da qualche parte, per fare soldi e spostarsi di nuovo, poi i viaggi in Marocco, per prendersi una pausa e anche qualche panetto di hashish da riportare indietro, le facciate bianche delle case e i tappeti sui pavimenti, il tè alla menta, il vecchio Lee seduto davanti alla macchina da scrivere, le parole inventate dalle sue dita da insetto, i tagli e le ripetizioni, i volti deformi appesi alle pareti, qualcuno sarebbe venuto a cercarlo, i compagni di Frisco o agenti segreti di agenzie cosmiche, tutto si ricollegava soprattutto quando nulla era vero, dovevamo solo aspettare, osservare i punti sparsi su una mappa immaginaria e le linee che gli anni, a nostra insaputa, finivano per trasformare in bizzarri disegni.

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