lunedì 1 marzo 2021

Orgiva #24

I miserabili arrivavano in massa il giovedì mattina, giorno di mercato nel pueblo, a comprare un pò di verdura o a recuperare quella buttata via vicino ai cassonetti, non che gliene fregasse più di tanto di quello che mangiavano, almeno credo, l’importante erano l’alcol e le sostanze in generale, quelle che riuscivano a trovare e poi ad assumere ovunque capitasse.

Gli straccioni scendevano giù da Beneficio, una tipologia di persone come le altre, né più, né meno, anche se si credevano diversi e migliori di quelli che non vivevano come loro, poveri coglioni, li riconoscevi quasi subito, i vestiti strappati e colorati, la loro divisa, cani o bambini al seguito e nei casi peggiori tutti e due insieme, dreadlocks o acconciature abbastanza primitive, una canna spenta fra le dita, nazionalità differenti e una comune idea di rappresentare una diversità culturale che non era altro che un’ennesima forma di omologazione - Dopo un pò questa ostentata alternatività aveva cominciato a farmi girare le palle e quello che all’inizio era stato interesse e un barlume di speranza di poter trovare individui con una mentalità non dico aperta ma per lo meno viva e vibrante si era infranto nella presa di coscienza che non c’era poi una grande differenza fra loro e i tanto criticati appartenenti alla società convenzionale.

La borghesia era morta, il proletariato defunto, era rimasta un’accozzaglia umana impossibile da definire e forse era meglio così, la lotta di classe era una stronzata per rivoluzionari ammuffiti, io continuavo a tenermi alla larga da tutti e sembrava che le divinità fossero d’accordo con me, mandandomi i loro indizi e i loro regali.

Le ore migliori per girare per Orgiva erano quelle della siesta, adesso che era inverno e sembrava primavera, e quelle del tramonto, per le vie e i vicoli non c’era nessuno, mi sembrava di essere come in un sogno, camminavo lentamente, osservavo i dettagli, me ne dimenticavo subito dopo, afferravo un pensiero, un ricordo, accarezzavo un’emozione, mi fermavo, pulivo la mente, lasciavo che i detriti psichici scivolassero via, camminavo di nuovo.

Non avevo più nulla da dire ammesso che lo avessi mai avuto, anche se per molti anni ero stato costretto a parlare ed ora che quel tempo era finito non me ne fregava un cazzo di ricominciare a farlo. Non avevo più nulla da dire, tantomeno da costruire, c’erano macerie ovunque, alcune di esse avevano fattezze umane, altre capelli lunghi e seni e culi e labbra che te lo facevano venire duro e che te lo avrebbero succhiato come cristocomanda, altre ancora avevano uno sguardo assente e stanchezza e schiene incurvate - Osservavo un fallimento dopo l’altro ed ero diventato un sublime artista della sconfitta - Poi mi rigiravo fra le lenzuola, i coglioni legati, una mano che mi accarezzava i capezzoli, le immagini feticistiche ad alta definizione nella sala oscura del piacere e delle proibizioni, i primi colpi di frusta, un sibilo lontano, una preghiera sussurrata, l’agonia dell’amore, l’asfissiante persistere dei sentimenti, perduti e ritrovati, malati e mai curati, le menzogne lucenti di qualsiasi donna ti abbia mai accolto fra le sue gambe aperte, stupida preda di vivida carne pulsante, stupido attore di una fatiscente farsa di fessure frementi.

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