mercoledì 15 settembre 2021

Lanjaron #3

 Odore di pescado e una Estrella Galicia ambrata e ghiacciata davanti, posata sul tavolino del bar, i riflessi del sole nel vetro della bottiglia, come le vene lucenti di un essere mescalinico, poi nuvole improvvise nel cielo e l’inquieto grigiore intorno alle cime delle montagne, avrebbe nevicato? Chiedeva uno degli uomini travestiti da desperados al tavolo accanto al mio mentre un altro sembrava prevedere l’arrivo di una bianca sostanza durante la notte (forse la coca che gli sarebbe risalita su per le narici? Pensava sarcastico lo scrittore), a me interessava solo addormentarmi un’altra volta al fianco di Sara, sentire il calore del suo corpo, del suo culo schiacciato contro il mio cazzo che cominciava a pulsare (le tue erezioni sembrano sempre una domanda, mi aveva detto una volta), poi la voglia, la frustrazione, la voglia, la frustrazione, il suo odore, il suo collo da baciare mentre la stringevo da dietro, mi faceva tenere una mano sul suo ventre, una sul seno, mi perdevo in quel contatto, svanivo nel sonno, nel mondo dei sogni, ero di nuovo nel letto vicino a lei, il cazzo duro, la prima luce del giorno, tutto sembrava perfetto, impossibile, naturale, imprevedibile, dolente, stupendo.


Avevamo fumato changa, una sera, creando prima un piccolo rituale, seduti su  dei cuscini orientali, nella penombra di una luce rossastra, gli effetti di questo miscuglio di erbe era arrivato quasi subito, trascinandomi velocemente in quell’altro mondo (il nagual) dal quale ero stato assorbito, prima ad occhi chiusi, con strutture geometriche, colorate e concentriche, in movimento, poi ad occhi aperti, con nuove profondità tridimensionali dello spazio e degli oggetti al loro interno, la realtà girava circolarmente intorno ai punti su cui si fermava il mio  sguardo - Divinità indiane, il volto di Sara, misterioso come quello di una donna araba, poi il contatto delle sue dita sul mio braccio, freddo e mortale - Eravamo due estranei seduti uno accanto all’altro, mentre ci concedevamo una pausa dalle nostre litigate, dalle nostre sfuriate, rifugiandoci per poco e in silenzio nei nostri rispettivi mondi interiori - Un gemito di piacere mi era uscito dalle labbra quando la sostanza si era impossessata di me, sprofondavo, riemergevo, io e Sara eravamo stati entrambi altrove senza che nessuno potesse dirci esattamente dove, poi eravamo di nuovo seduti sul divano, le proporzioni della stanza tornavano alla normalità (quale? domandava scettico lo scrittore) - Quella delle stupide illusioni euclidee, nuovi teoremi sarebbero stati scoperti, un giorno, oltre le fetide elucubrazioni di una geometria ormai vecchia, inutile e stantia.


Qualcuno fumava porro al tavolo dei desperados, avevo ordinato una seconda Estrella, il tipo stava parlando con gli altri in italiano, nascondendosi a vivere chissà dove, forse in montagna, a coltivare oppio e marijuana - Avevo passato un paio di ore, durante la mattina, a guidare senza meta, per poi fermarmi a scattare foto alle enormi eliche di gigantesche turbine eoliche - Mi era venuto il cazzo duro nei pantaloni, pensando a Sara, erano più di dieci giorni che non sborravo, mi sentivo i coglioni gonfi (che condanna essere uomini, ripeteva lo scrittore a se stesso) e il minimo contatto del suo corpo mi provocava un brivido e un fremito di piacere e inquietudine - Le avevo baciato una caviglia, la notte precedente, sul piccolo terrazzo di casa e le solite fantasie avevano preso forma nella sala buia delle proiezioni mentali (sempre lo stesso film, sempre lo stesso film, ripeteva annoiato il regista in cerca di nuove e decadenti sceneggiature) - In un bar qualcuno stava parlando di bocchini e masturbazione e c’erano intorno, da qualche parte, facciate lucenti di case abbandonate e frammenti di storie dimenticate fra di esse e persone in attesa fra i vicoli sporchi e lungo le strade ormai vuote di questo pueblo, dove Tim si sistemava per terra con il suo violino, suonando una musica di una tristezza devastante e poi le fotografie perdute di tutti i giorni che abbiamo sprecato insieme, di quelli passati a guardare le onde del mare scintillare durante la mia giovinezza, l’odore dell’hashish e ogni momento di cui non sapremo più nulla e poi l’oblio che ogni storia d’amore racchiude e disvela e le nostre dita intrecciate e l’amore che che ho provato e ho cercato di esprimere per tutta la mia vita senza mai riuscirci e poi gli errori e le sconfitte e quella fine che ogni inizio pretende solo per essere tale e il silenzio di una stanza e quello dei miei piaceri proibiti e le parole che mi dimenticherò di dirti e questo istante con le sue mendicanti menzogne e le sue verità in vesti di sgargianti bugie, cangianti oscenità, i tuoi morsi fra quel che resta delle mie indomite e insaziabili metamorfosi notturne, bianca luce che accogli ogni sbaglio, continua a proteggermi, bianco calore che trasformi la sofferenza nel piacere di chi si abbandona alle tue sinuose onde, ovunque proteggimi, ultima spiaggia, ultimo orgasmo, fottere, fottere, fottere, grida qualcuno nell’estasi di un tormento infinito.


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