giovedì 2 giugno 2022

Roma #20 (garbatella)

 Garbatella Quartiere Alchemico. Bizzarri edifici, volti pietrificati nascosti sotto i cornicioni, grigiore nel cielo, un quieto e silenzioso novembre per le strade vuote e misteriose. Lotti. Labirinti di viottoli. Cortili di cemento. Spiazzi. Un passato popolare riecheggia fra le mura dei palazzi che si stanno sgretolando. Le solitarie  trattorie dimenticate, i tavoli smembrati. Le foglie sull’asfalto. Marroni e marce. Qualcuno scriveva ancora poesie in dialetto sui muri in rovina. E slogan politici, insulti calcistici, rime d’amore, di lotta, di rivolta. Ci sono persone che camminano in una piazza e donne affacciate alle finestre per stendere i loro panni, una sigaretta in bocca, una fugace occhiata, un’anziana signora sparge delle briciole sul proprio davanzale, le stanze solitarie, i mobili antichi, ci poteva essere una bellezza struggente nella vecchiaia se ci fossimo arrivati con la giusta e necessaria pace interiore, ormai liberi dai desideri, dalle passioni, dalle illusioni. Avremmo allora potuto immergerci nel mare interiore, nella sua luce e così ricordare, ricordare, ricordare tutto ciò che era stato e che era passato, solo per dissolversi nel tempo. Avremmo vissuto il presente con lentezza, gocciolando, stille di attimi eterni, avremmo galleggiato in ognuna di esse, per poi ritornare di nuovo nelle camere dell’infanzia, assaporandone con dolce nostalgia gli odori, osservando la danza della polvere nell’aria nelle assolate mattine domenicali. Garbatella e una passeggiata che non avevo mai fatto. C’erano frammenti di una notte, da qualche parte, quando eravamo ragazzi ed eravamo andati al Palladium a ballare, in motorino e quelli di quando la Roma aveva vinto lo scudetto e c’erano striscioni giallorossi appesi ovunque e quasi non ci si poteva muovere per le vie, inondate di un rumore assordante e poi gli echi di un giorno, insieme a Maria e Matteo, mentre camminavamo bevendo birra e chiacchierando, come avevamo fatto così tante volte e queste immagini mi arrivavano addosso, in questo momento e potevo quasi fisicamente rivedermi, era un film interiore che si alternava con le sequenze di una realtà di cui non facevo più parte anche se ne ero, in qualche modo, all’interno. Mi piaceva vagare senza meta, fare fotografie e aspettare che le parole arrivassero per mettermi a scrivere, sedermi in un bar e bere una birra, pensare ai fatti miei, rimettermi in piedi e continuare a girare. Sedi anarchiche, compagni di lotta, fotografie del passato impresse su vetrini, gli acidi, chimici quanto lisergici, un’occhiata di intesa e riconoscimento. Il gracchiare dei corvi, qualcuno si siede su un marciapiede, i palpiti del mio cuore e i problemi degli altri che mi ero stancato di ascoltare, eppure bisognava continuare a parlare, a discutere, a tentare di chiarirsi, alle fine poi ci si incazzava sempre, era inevitabile, era parte del gioco, aveva ragione mio padre, non potevo passare la vita a nascondermi anche se la tentazione era grande, soprattutto adesso che avevo capito come farlo. Un giorno lento, di quelli che piacciono a me, una pausa in una pausa, un campari al bar, tutto il tempo per scrivere, posare la penna e tornare a smarrirmi.

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