lunedì 27 giugno 2022

Roma #25 (vigne nuove)

 Alcune domeniche mattina iniziavano abbastanza presto, subito fuori dal mondo dei sogni, poi fuori di casa, in macchina, a girare per i quartieri periferici - Poi mi fermavo in un parcheggio, fra sublime sozzura e visioni apocalittiche di palazzi in costruzione e mi mettevo a scrivere - Viale Franco Arcalli, speravo fosse Kim, quello che aveva montato Ultimo Tango a Parigi e Il Conformista di Bertolucci, poi via Carmelo Bene, tutte e due vicini ai capannoni dell’Ikea e di Leroy Merlin, che cazzo di cattivo gusto avevano avuto i sorci in giacca&cravatta della commissione toponomastica del comune, pensavo, grattandomi i coglioni - Roma non esisteva, non era mai esistita, era solo un’enorme allucinazione collettiva, come quella messa in immagini da Fellini in alcune sequenze dell’omonimo film - Roma era delirio e sadismo architettonico nelle vecchie borgate, Pasolini lo aveva capito, a Vigne Nuove gli edifici sono caserme e prigioni, con cortili come quelli dei forti militari - Tutta la nostra vita non era stata altro che il semplice movimento da una gabbia a un’altra, dal ventre materno alla bara, passando per la famiglia, la casa, la scuola, l’ufficio, il lavoro - A volte le sbarre erano visibili, altre no, comunque la maggior parte della gente non se ne accorgeva nemmeno della loro esistenza - Più guardavo le persone intorno a me, soprattutto nelle città, più mi domandavo dove cazzo andassero, dalla mattina alla sera e pure durante la notte, sempre di fretta, sempre in preda al nervosismo, all’agitazione, alla frenesia - Mi chiedevo quali fossero le loro traiettorie invisibili, le spinte interiori che gli facessero prendere una direzione invece di un’altra, chissà dove era il motore delle loro azioni, dei loro spostamenti, sempre ammesso che ce ne fosse uno - Poi pensavo al bisogno, al desiderio, all’opportunismo, alla necessità. - E cosa ne era stato del piacere, dell’ozio, del libero vagare, già, del puro vagabondare, senza meta, senza interessi, senza nessuna finalità, eh? Che cazzo ne era stato? Questo era quello che facevo, quello che mi faceva stare bene. E i soldi? E il guadagno? E i profitti? Vaffanculo, gridava lo scrittore e poi si infilava in un bar per la prima birra della giornata. 
Avrei continuato a scivolare, senza oppormi, senza domande, qui c’era solo l’ennesimo mucchio di rovine, solo scrivere mi rendeva felice in questa miseria, mi sarei scordato del resto, non era così difficile, di quello che non era necessario, di questa società che diventa prigione quando la lasciamo libera di controllarci e a cui mai, mai, mai dovremmo permettere di costruire le sue indecenti gabbie dentro di noi.

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