martedì 7 giugno 2022

Roma #21

 Croci al neon nella notte metropolitana. E pioggia incessante lungo le strade dei ricordi. Immagini stereoscopiche scivolano sul parabrezza e visioni liquide appaiono nelle stanze di un museo del subconscio. Pareti sonore e divani in cui affondare per annegare dentro sé stessi. Chiamate anonime. Colloqui di lavoro dietro a plastici vetri di protezione. Domande. Allusioni. Storie inventate. Non mi sarei di nuovo nascosto dietro alla maschera di chi loro volevano che fossi, non avrei mendicato uno stipendio o un’altra possibilità di tornate dentro alla gabbia. Non ci si poteva respirare là dentro, non c’era aria, non c’era mai stata, non c’erano alberi, non c’erano fiori. Le classi erano ormai vuote, lezioni virtuali, collegamenti elettronici, che cazzo di mondo si stava configurando, tutti intrappolati in uno schermo e i nostri corpi dietro di essi. Manipolazioni emotive e chissà quali altre domande se mi avessero scelto. Una psicologa mi avrebbe interrogato, poi si sarebbe sfilata le scarpe e avrebbe posato i suoi piedi nudi sulla scrivania, li avrei osservati ipnotizzato, il loro odore mi avrebbe fatto venire il cazzo duro nelle mutande, le solite fantasie, sospirava lo scrittore. Altre stanze buie, il profumo degli oli, il contatto delle mani, gli occhi chiusi, i respiri, fuori continuava a piovere, qualcuno sarebbe venuto a trovarmi in questa parentesi di felicità in un tempo che non sapevo più come chiamare. La città era meravigliosa nella luce di novembre, quando la pioggia si fermava per poco e c’erano attimi di trascendenza visiva, gloriosi tramonti, come quelli negli affreschi di alcune chiese, da cui escono Dio e il suo esercito di angeli e tromboni. Il traffico mi succhiava via l’anima e le energie, centinaia di ragazzi una notte a San Lorenzo, assembramenti infernali, voci, corpi, fermi o in movimento, in un’orgia giovanile di cui non facevo più parte. Al Pigneto la situazione era anche peggiore, avevo visto alcune persone fumare crack direttamente per strada, passeggiavo in silenzio sotto il cielo viola, il mio doppio era tornato a vagare solitario nei suoi vecchi quartieri, consumando la propria astinenza, immaginando, chiedendosi, fermandosi, svanendo. Pochi passi nelle zone oscure in cui qualcuno si rifugiava per scoprire che non c’era più nessun luogo nel quale scappare. Le parole continuavano a raggiungermi, volanti della psicopolizia setacciavano la rete dei nostri bisogni. Ancora la pioggia, a Fiumicino, in una mattina in cui volevo solo piangere senza voltarmi più indietro, i giorni in cui sono stato un uomo diverso, quelli in cui non sono stato più nulla, ci sarà l’oblio con le sue danze di fuggenti malinconie ad attenderci nel teatro della prossima vita. Mi siederò in un angolo ad osservare il susseguirsi degli eventi, orizzonti di rabbia, repressioni di istinti clandestini, analoghi monologhi di omosessuali, travestiti e checche sognanti. A strano, a frocio, qualcuno mi dice, ho fatto finta di non sentirlo, le menzogne della notte, le verità che nessuno ti ha mai confessato.


Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...