lunedì 20 giugno 2022

Roma #24 (pigneto)

 Il Pigneto era un buon posto per venire a scrivere, magari all’ora di pranzo o nel primo pomeriggio (intanto non lavoravo, quindi che-cazzo-me-ne-fregava), quando ancora l’isola pedonale non si riempiva di coglioncelli universitari e spacciatori vari (anche se preferivo gli ultimi ai primi) e mi potevo sedere tranquillamente a un tavolo di un bar e bermi una birra e mettere le parole in successione orizzontale nelle pagine del quaderno, su quelle righe parallele come le rotaie di un treno invisibile che viaggiava ad alta velocità psichica, andando chissà dove e chissà dove sarei andato io, che della vita qui a Roma già mi ero rotto i coglioni, quella borghese intendo, con tutti i suoi problemi e non problemi, legati alla casa, al lavoro (o al non lavoro), al conto in banca, alle bollette, al traffico, alle macchine, a cosa fare (a cosa non fare). Non ero più capace di stare in mezzo a questa inutile baraonda, non avevo più voglia di farne parte, non provavo nessun interesse per questa caotica e idiota frenesia di vivere, avevo abbandonato questo letamaio sociale anni fa, le persone che ci sguazzavano ancora dentro mi facevano stare male e in agitazione solo con la loro insulsa presenza fra le strade e le vie della città. Per me era meraviglioso e vitale ed essenziale il solo perdermi e smarrirmi, il vagare e vivere in luoghi di assoluta immaginazione. Nei quartieri, nei bar, nei vicoli, nei cinema, nei teatri mentali in cui inventare il mio personaggio, le mie quinte etiliche, i miei palcoscenici alterati. Alcune volte uscivo di notte, quando pioveva, con una birra in mano, a bere e camminare, sedermi sul gradino di un negozio chiuso e osservare le ombre scivolare sull’asfalto lucido, insieme ai ricordi e alle intuizioni visive e ai voli pindarici della mia fantasia, nella sua cosante rielaborazione del presente in una forma filmica, narrativa, fotografica. Un personale racconto in cui si mostrava una realtà altra e differente, solo mia, artistica, pulsante, misteriosa, lucente, vibrante, oscura, oppiacea, lisergica, pornografica. Uno stato interiore dell'essere fra i fenomeni di questo mondo appena al di sopra o la di sotto delle nostre normali percezioni. In questi momenti tutto era vivo e mi toccava e lo sentivo scivolare lungo la pelle, assorbito dentro di essa, fulgido nei pensieri e il presente diventava qui e ora, seducente, attraente, proibito. Unico. Del merdaio che avevo intorno non c’era molto da dire, file di uomini e donne racchiusi in tragitti di cui probabilmente non erano neanche consapevoli. Alcuni vivevano in una totale simbiosi con i loro lavori, come se fossero importanti, come se fossero reali. Una moltitudine di giovani, vecchi, idioti, privilegiati, derelitti, paraculi, miserabili e falliti. Tutti intorno e io non volevo che nessuno di loro mi toccasse, che mi infastidisse le orecchie con i propri problemi. Non volevo essere parte di nulla, solo un osservatore. Volevo passare il mio tempo a scrivere, fare fotografie. A masturbarmi, a leggere, a meditare. A dormire. A sognare. A vedere film. Volevo starmene sul divano di casa a occhi chiusi. A respirare. A scendere dentro di me, a scomparire. Quanto avrei voluto sparire, svanire da questo mondo per ritrovarmi dentro di esso nella sua vera, lucente e quieta essenza. In silenzio. Dall’altra parte. 
Sta arrivando gente, anche qui, qualcuno si siede al tavolino vicino, partono le chiacchiere, già è troppo, finisco la birra, chiudo il quaderno. Solo fra gli stranieri, gli immigrati, gli esclusi mi sentivo a mio agio. Il resto era solo una squallida recita che conoscevo bene e a cui non volevo più partecipare.


Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...