La strada ghiacciata verso
l’aeroporto, Beno e Maria parlavano in inglese nei sedili anteriori della
macchina, io stavo dietro e guardavo fuori, silenzioso, il mondo aveva un
aspetto così diverso, sagome oscure di alberi, ponti, fabbriche, contrasti
fotografici in bianco e nero con la neve che cadeva e ricopriva, nascondeva e
trasformava, è arrivato un ricordo, una sensazione dell’infanzia, i viaggi in
auto con mio padre e mia madre che parlavano davanti mentre io me ne stavo
seduto dietro, senza dire nulla, a volte facendo finta di dormire, disteso sul
sedile posteriore con un cuscino sotto la testa oppure guardando fuori dal
finestrino il cielo che passava.
Nel corso del tempo ci scambiamo
corpi e parole, ci lasciamo dietro gli altri, perché la strada sia solitaria e
il cammino silenzioso, nella casa, la mattina, faceva un gran freddo, dovevo
scendere dalla camera da letto, tirarmi fuori dalle coperte calde e
accoglienti, fare le scale, entrare nella cucina gelida e riaccendere il fuoco,
le spirali di fumo che iniziavano a salire, mentre si liberavano dalla legna le
prime piccole fiamme, denti gialli e rossastri, affamati, che mordevano i
ciocchi di abete con sempre più forza, poi se ne impossessavano, quelle lingue
alte e ribelli, creando coreografie, iniziava il calore e la stanza diventava
più confortevole, passavano le ore e io attendevo, guardando il fuoco,
prendendomene cura, la sua bellezza di luce e ombre, potrei riscrivere la
storia della mia vita nella sua cenere, pensai, solo per la gioia di vederla
poi disperdersi nel vento e nel nulla.
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