venerdì 6 marzo 2015

homesick #19

Per andare al lavoro la strada me la facevo a piedi, ogni tanto la cambiavo, giusto per non cadere nell’abitudine di fare un solo percorso, però in alcuni periodi il camminare era identico e allora, giorno dopo giorno, ti accorgevi delle ripetizioni, anche perché l’orario in cui mi muovevo era sempre uguale, facce e figure e movimenti di braccia e azioni e situazioni - c’era un tipo che lavorava in una agenzia di scommesse, di solito quando ci passavo davanti aveva appena aperto e si stava leggendo il giornale seduto fuori, non mi piaceva la sua faccia, c’aveva l’aria di un gran paraculo, che poi era la sensazione che ti doveva arrivare, cioè di uno che non fa un cazzo tutto il giorno ma che ci piglia con le scommesse e così non c’ha il problema dei soldi, perché li guadagna in questo modo. Certo ‘sta cosa delle scommesse le inculava alla grande le persone che ci credevano, che bastava poco per cambiare vita o fare il colpo che ti sistemava per sempre, come la pensava il vecchio Hank l’avevo letto e riletto, che a lui andare all’ippodromo gli faceva bene all’anima e alla scrittura, perché ci si immergeva in quel teatro di orrori e fallimenti quotidiani e si sentiva più umano e vivo a stare a contatto con tutti i miserabili e falliti che ci passavano le loro giornate a scommettere sui cavalli e insomma questo tipo fuori dall’agenzia aspetta che i primi fessi gli vengano a dare i loro soldi e tante volte, quando torno, facendo la stessa strada, quei fessi stanno ancora lì dentro e sono quasi tutti stranieri, che almeno a loro la bugia facile gli serve per tirare avanti, se ne stanno là davanti ai monitor, che non so neanche se è per scommettere o ingannare il tempo, che sempre un pacco di frottole sono, forse è un posto per fare amicizia o parlare con qualcuno o immaginarsi una vita diversa che fino a quando non sei tu a cambiare, quella rimane la stessa stronza di sempre. 

Più giù, sempre lungo questa strada che faccio al mattino, ci sta una zingara seduta accanto al muro, che quando passi ti guarda, con il suo occhio guercio, che dentro non c’è manco più un briciolo di comprensione, ma fredda rapacità e ti chiede i soldi e i primi giorni gli ho sorriso pure ma lei quando vedeva che non gli allungavo niente parlava nella sua lingua, quasi sicuramente maledicendomi e allora ho preso l’abitudine di darmi una grattatina ai coglioni, con la mano nella tasca dei pantaloni, quando ci passo accanto e la sento sussurrare quelle strane parole.


La domenica prima, io e Maria, ce ne eravamo andati a bere qualche birra a un pub sotto Via Cavour, che quando siamo scesi per la strada, da Piazza Vittorio, l’asfalto brillava, cioè la strada si era trasformata in pura luce, il nostro sentiero dorato - abbiamo camminato in silenzio e sembrava che la via fosse piastrellata d’oro, avevamo il cuore leggero e la pelle che bruciava, si può essere felici anche così, passeggiando lenti nello splendore di un pomeriggio autunnale.


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