venerdì 10 novembre 2017

beat #1 (1998)

Non vedi questi ondulatori moti di risa. Questo cielo nuvoloso. Questi scalini sui quali poggio i miei piedi. Le parole che prendono forma. Nomi immaginari per luoghi reali. La macchina sull’autostrada, le distese d’asfalto che tagliano lo spazio, un viaggio di cemento nel moto siderale dell’universo, miglia dopo miglia, verso la nostra meta. E le tende indiane dei nostri accampamenti,  fuochi artificiali su bombolette piene di gas, i canti muti, l’esistenza che scivola nelle ombre del tramonto. Il vino. L’alcol che inebria le nostre lingue. E parole consumate da ventagli di silenzio, i nostri occhi che si muovono nel buio. Conversazioni ironiche, battute sulla vita, nessuna importanza e nessun dogma. Poi la notte e noi sepolti nei nostri sacchi a pelo (che avevo dimenticato, inevitabilmente, insieme ai materassini) e quindi distesi sulla nuda terra, sotto invisibili coperte che assomigliavano a freddi asciugamani, il tintinnio notturno delle cicale cristalline che rispondevano alle stelle, splendendo della stessa febbrile luce. Figli di altri tempi, vagabondi borghesi senza identità. Abbiamo nel sangue le visioni e le parole dei poeti, il coraggio dei perdenti, la debolezza degli uomini.

La nostra bocca asciutta attaccata a una bottiglia, le nostre mani sporche di tabacco.

Nessun commento:

Posta un commento

freewheelin' #82

  Le notti diventavano più brevi e il sonno si popolava di sogni e fra le loro storie c’eri anche tu, il tuo volto e il tuo corpo ma non i t...