sabato 25 novembre 2017

Babylon #2


Ace parlava con Paul, probabilmente di droga, mentre erano seduti davanti a un bidone dove qualcuno aveva acceso un fuoco. Paul aveva gonfiato palloncini con ossido nitroso per tutta la notte, dentro la sala in cui le persone ballavano, le luci stroboscopiche vorticavano nel buio e Luna danzava a occhi chiusi, il corpo magico che si muoveva nello spazio che la musica creava. Luke faceva girare i dischi e dalle normi casse arrivavano vibrazioni che attraversavano la pelle, i colpi dei bassi ti facevano allargare lo stomaco e potevi sentire quelle pulsazioni espandersi dentro di te. Bea mi aveva dato una cartina piegata con dentro dell’emmedi, l’avevo inghiottita con un sorso di birra, eravamo seduti su un tappeto disteso sull’erba e la luce era chiara e pura e faceva risplendere la realtà, i colori avevano un’intensità diversa, qualcuno si sedeva a chiacchierare con lei, ascoltavo parti dei discorsi, mi guardavo intorno, non avevo mai molta voglia di parlare, rimanevo in silenzio, lasciando che il tempo fluisse. Chris Crusher aveva pantaloni e maglietta attillati con geometrici disegni in bianco e nero, la sua voce era calma, calda e suadente, lo osservavo sempre con molto interesse, mi aveva passato un dito sul petto, durante la notte, poi il suo volto e quello di Bea che mi guardavano e mi dicevano di stare tranquillo, ero sdraiato per terra, avevo perso i sensi per alcuni minuti, un calo di pressione, gli dicevo che stavo bene, poi mi ero messo seduto e tutto sembrava di nuovo normale e non c’era nulla di cui preoccuparsi, avevo bevuto un liquore a base di prugne, su un divano, sommerso dai pensieri del sole, una donna me lo aveva passato, molto più grande di me, i vestiti colorati e lucenti, i piedi nudi che me lo facevano venire duro, qualcuno faceva girare una canna d’erba, ringraziavo e davo un paio di tiri, poi tornavo dentro me stesso, Matt era sdraiato su un altro divano, gli occhiali da sole, mi chiedevo se fosse sveglio o meno, poi era in piedi con i suoi strumenti da giocoliere, mentre provava alcuni esercizi, gli avevo chiesto che fine avesse fatto il suo furgone, si era rotto e adesso era fermo da qualche parte, la stagione dei festival stava per iniziare, avrebbe trovato un altro modo per rimettersi in movimento e continuare questo scherzo in cui tutti finivamo per essere intrappolati, bisognava pur dirla una parola, fosse anche un saluto o un’osservazione senza senso, era difficile in alcuni momenti smetterla con l’immaginazione e cercare di afferrare un appiglio di concretezza, ma poi i personaggi tornavano a essere più dettagliati delle persone e lo scrittore gli dava vita e spessore, i dialoghi li recitava nella mente e costruiva brevi sequenze che avrebbe poi montato in seguito. Gli occhi di Carl erano spiritati, il volto tirato, diversi stimolanti lo spingevano sempre più in alto, si sarebbe potuto staccare da terra e camminare nell’aria, i rumori delle narici che tiravano, la polvere bianca che veniva risucchiata dentro una banconota arrotolata, c’erano scatolette di metallo piene di sostanze, la musica continuava ad arrivare, viaggiando tra gli anni, gli stili e i generi e Chris Crusher era entrato nella grande tenda con la sua borsa e i suoi dischi, miscele sonore di funk, jungle e soul e il giorno in cui Ace aveva deciso di smetterla con l’insegnamento e aveva spalancato le finestre delle classi in cui qualcuno lo aveva rinchiuso per anni e non c’erano state più domande, era uscito dalla scuola e aveva indossato degli occhiali dalle lenti scure, poi era scomparso da qualche parte, i contatti per le droghe, i libri da leggere, le conversazioni private/pubbliche registrate su dei nastri analogici, c’era ancora l’idea di scrivere un romanzo usando quelle registrazioni, quando il materiale sarebbe stato sufficiente, qualcuno mi passa un'altra mezza pillola blu, è sera o mattina? Chiedo a un ragazzo accanto a me, la luce è identica e le percezioni temporali sono alterate, butto giù la mezza blu con un sorso di birra e cammino nelle stanze dei miei ricordi, sorrido quando qualcuno mi parla, Paul sta ancora gonfiando palloncini e gli altri ci si attaccano e inspirano ed espirano il gas esilarante, gli occhi di Paul sono famelici, allucinazioni che divorano la vista, gli manca un dente e indossa uno strano berretto che lo fa sembrare un coniglio, respiro il gas quattro o cinque volte e la testa mi diventa leggera, un breve flash di ebbrezza, poi un uomo con un cappello da cowboy mi offre una striscia di emmedì, ringrazio, tiro e torno a ballare. C’è Robin nei suoi vestiti da donna, ogni dettaglio minimamente curato, ha degli occhiali con delle lenti pentagonali blu, gli anelli alle dita, trasformazioni notturne, quando è la sua metà femminile a trovare fantasiose e bizzarre forme espressive, poi di giorno torna ad essere il gentiluomo di campagna di fine ottocento, seduto in disparte a fumare erba. Stavo perdendo la mia identità e osservavo scenari psichici e cambi di comportamento, le sostanze modificavano le persone e forse anche me stesso, in quelle nuove possibilità di esistenze che mi apparivano ogni volta come fosse la prima non avevo nulla da dire, non trovavo spazio per esprimermi perché semplicemente avevo scordato tutte le parole, non c’era un passato che volessi raccontare e neanche un futuro che volevo raggiungere, c’era questa bolla di tempo e immagini e io mi trovavo seduto nel suo centro, completamente vuoto e trasparente, fluttuavo tra gli altri, giorno dopo giorno, perdendo sempre di più consistenza. C’erano degli appunti, delle note scritte da qualche parte, visi che si nascondevano nei sogni e nella memoria, era bello starsene per i fatti propri, sorridere, lasciare che ognuno proseguisse il suo cammino, faceva più freddo e le ombre stavano arrivando, mi sono seduto vicino al fuoco, Ace era alla mia sinistra, ha detto qualcosa che ho pensato fosse divertente, poi ha acceso la canna spenta che aveva in mano, ha guardato il cielo, anche i nomi che davamo alle stelle sarebbero stati dimenticati, nell’oblio e nella nostalgia del loro suono ancestrale.

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