sabato 11 novembre 2017

Cymru #18

Incognite e abbandoni, le paure irrazionali che giocavano a nascondino nella mente, padri che erano partiti per l’India o il Marocco senza fare ritorno, famiglie dalle forme elastiche, i caravan e le tende e le fotografie del passato, i volti che qualcuno aveva amato, le trasformazioni del corpo e le attese delle nascite. C’erano cicli che ruotavano intorno al nostro essere e ci trasportavano con loro mentre attraversavamo tutta una serie di ruoli, interpretavamo personaggi, scambiavamo la vita con il nome che qualcuno ci aveva dato. I riflessi di luce sulle finestre e sulle onde, lo scrittore che si riposa su una sedia, in una terrazzino al terzo piano di un albergo, fissa il mare, chiude gli occhi, le immagini che arrivano, passano e ritornano, i suoni dei gabbiani, le ali dorate, le poesie scritte osservando il cielo e le parole che echeggiavano ancora da qualche parte, in un’isola che le maree proteggevano, fra i disegni di falli enormi sulla sabbia, le bambine che guardavano incuriosite quelle linee senza sapere che significato dargli, le bottiglie di vino in un angolo, lo scrittore si sdraiava sul letto e sentiva il rumore dell’oceano e pensava che non ci fosse più bisogno di nulla, che la sua vita stava lentamente naufragando e che in fondo era quello che aveva sempre voluto.
La mattina mi avvicinavo ai vasi sul davanzale con la speranza che i semi iniziassero a dischiudersi, la sera me ne stavo sul divano, le striature rosa nel cielo e una donna che le ammirava dalla sua sedia a dondolo, alberi dalle forme contorte e nuvole e gli occhi di lei che ne riflettevano l’azzurro, poi le panchine e il sole sul volto e tutte le volte che sono rimasto senza pensieri, senza domandarmi cosa sarebbe successo dopo, senza più nessun futuro ad attendermi e nessun passato a ricordarmi gli errori che avevo commesso.
Nel silenzio dei giorni aprivo libri e ne accarezzavo le pagine, gli scrittori che mi avevano accompagnato, le loro voci che avevo ascoltato per così tanto tempo, nei sogni avevo visto persone morte, i loro visi immobili all’interno di una teca funeraria, le oscillazioni dei palazzi, durante un terremoto, uomini e donne cadere nel vuoto, perdere ogni appiglio, in misteriose rotazioni oltre la gravità.

Un giorno in cui ero davanti al portone della casa di mia madre ed era tutto così concreto e vivido e lucente che mi sono chiesto se fosse reale o no, sapendo bene la risposta e allora sono arrivato nel cortile, la palma immensa, le facciate gialle e semplicemente mi sono alzato in volo, così leggero e lieve, un bambino che mi guardava stupito, l’ho salutato, prima di svanire negli anni, ogni illusione che abbiamo sconfitto, ogni lacrima che ci hanno proibito di piangere, la gioia che ho nel petto, quando ti sento respirare, come se fossimo ossigeno e aria e quiete nel mondo.

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