Incognite
e abbandoni, le paure irrazionali che giocavano a nascondino nella mente, padri
che erano partiti per l’India o il Marocco senza fare ritorno, famiglie dalle
forme elastiche, i caravan e le tende e le fotografie del passato, i volti che
qualcuno aveva amato, le trasformazioni del corpo e le attese delle nascite. C’erano
cicli che ruotavano intorno al nostro essere e ci trasportavano con loro mentre
attraversavamo tutta una serie di ruoli, interpretavamo personaggi, scambiavamo
la vita con il nome che qualcuno ci aveva dato. I riflessi di luce sulle
finestre e sulle onde, lo scrittore che si riposa su una sedia, in una
terrazzino al terzo piano di un albergo, fissa il mare, chiude gli occhi, le immagini
che arrivano, passano e ritornano, i suoni dei gabbiani, le ali dorate, le
poesie scritte osservando il cielo e le parole che echeggiavano ancora da
qualche parte, in un’isola che le maree proteggevano, fra i disegni di falli
enormi sulla sabbia, le bambine che guardavano incuriosite quelle linee senza
sapere che significato dargli, le bottiglie di vino in un angolo, lo scrittore
si sdraiava sul letto e sentiva il rumore dell’oceano e pensava che non ci
fosse più bisogno di nulla, che la sua vita stava lentamente naufragando e che
in fondo era quello che aveva sempre voluto.
La
mattina mi avvicinavo ai vasi sul davanzale con la speranza che i semi
iniziassero a dischiudersi, la sera me ne stavo sul divano, le striature rosa
nel cielo e una donna che le ammirava dalla sua sedia a dondolo, alberi dalle
forme contorte e nuvole e gli occhi di lei che ne riflettevano l’azzurro, poi
le panchine e il sole sul volto e tutte le volte che sono rimasto senza
pensieri, senza domandarmi cosa sarebbe successo dopo, senza più nessun futuro
ad attendermi e nessun passato a ricordarmi gli errori che avevo commesso.
Nel
silenzio dei giorni aprivo libri e ne accarezzavo le pagine, gli scrittori che
mi avevano accompagnato, le loro voci che avevo ascoltato per così tanto tempo,
nei sogni avevo visto persone morte, i loro visi immobili all’interno di una
teca funeraria, le oscillazioni dei palazzi, durante un terremoto, uomini e
donne cadere nel vuoto, perdere ogni appiglio, in misteriose rotazioni oltre la
gravità.
Un giorno
in cui ero davanti al portone della casa di mia madre ed era tutto così
concreto e vivido e lucente che mi sono chiesto se fosse reale o no, sapendo
bene la risposta e allora sono arrivato nel cortile, la palma immensa, le
facciate gialle e semplicemente mi sono alzato in volo, così leggero e lieve, un
bambino che mi guardava stupito, l’ho salutato, prima di svanire negli anni,
ogni illusione che abbiamo sconfitto, ogni lacrima che ci hanno proibito di
piangere, la gioia che ho nel petto, quando ti sento respirare, come se fossimo
ossigeno e aria e quiete nel mondo.
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