mercoledì 13 dicembre 2017

Cymru #21


Il libro dei sogni poggiato su un comodino di legno e la scatola con le erbe sacre in uno dei cassetti, da preparare e assumere prima di andare a dormire. Una mascherina nera sugli occhi e le immagini create dalla mente, una volta disconnessa dalle ordinarie percezioni. Si eseguivano esperimenti nei laboratori delle industrie psichiche e lo scrittore o il suo doppio tenevano un diario in cui appuntavano date e risultati, ogni giorno aveva la parvenza di qualcosa di ripetuto eppure inaspettato e c’erano voci e volti e suoni e rumori e le mani di una donna che accarezzava l’aria come fosse solida, vedere attraverso i colori senza avere le parole adatte per spiegarlo, bisognava inventarne di nuove e distruggere le vecchie strutture sintattiche, il linguaggio veniva destrutturato e rimontato seguendo logiche primitive, gli antichi sciamani erano seduti in cerchio e mormoravano le loro melodie, i battiti ritmici sul tamburo di pelle, le penne degli uccelli, i piccoli sassi e le conchiglie, qualcuno mi aveva chiamato da Londra perché andassi di nuovo a perdermi tra le architetture e i miraggi industriali di quella città, avevo una macchinetta fotografica e un quaderno ed era tutto quello di cui avessi bisogno, la memoria era diventata fluida e osservavo i miei errori, chiedendomi finalmente come avessi potuto commetterli, erano descrizioni oggettive, concrete e senza giudizio, il ripetersi di schemi che avevo finito per credere reali, obbedendo agli impulsi dell’illusione di appartenere ad una vita che fosse mia, guardavo le mie azioni e i comportamenti e gli stati d’animo e anche tutte le cose che non avevo mai capito ed erano lì, poi scomparivano e c’era solo il cielo con i suoi colori tattili e le colline in lontananza e i respiri delle pareti e qualcuno che mi chiedeva cosa provassi all’interno, di che cosa? Quale interno? Domandai, non c’erano distinzioni, i palazzi erano crollati, le aule in cui avevo insegnato smantellate, sulle lavagne si potevano ancora scorgere i segni sbiaditi di alcoliche lezioni, i capi avevano deciso che era meglio sbaraccare, distruggere le tracce, dare nuovi ruoli e creare diverse posizioni, c’erano spie travestite, dentro i corridoi, sapevano come nascondersi nei sorrisi, nei codici criptati dei discorsi che si facevano durante le riunioni, il metodo migliore era addormentarsi mentre gli altri parlavano e filtrare attraverso l’inconscio i messaggi e gli ordini, guardavo una finestra al settantaquattresimo piano di un grattacielo, le fiamme che ne uscivano fuori, una donna correva per la strada terrorizzata, un masso si levava dal suolo, apparentemente senza gravità, i loop ripetuti delle immagini, le droghe sconosciute che qualcuno aveva messo in circolazione, i dadi in un barattolo, le combinazioni di numeri che le cavie avevano il compito di indovinare, scariche elettriche e irrazionali cifre d’abominio, abbiamo trovato una via, disse l’uomo con il camice marrone, gli altri applaudirono, qualcuno si pulì gli occhiali, un sorriso, un dento d’oro, una capsula di veleno, gli spazi aerei e le foschie viola che i tramonti dipingevano di gloria.

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