mercoledì 6 dicembre 2017

Cymru #20


Le pareti mentali erano state imbiancate di recente e un uomo vestito di stracci vi passava sopra il rullo con la vernice del presente, con movimenti lenti, poi saliva su una scala per raggiungere quelle parti sporche, quegli angoli psichici dove era difficile arrivare, c’erano mutamenti nello spazio e nuove coordinate tridimensionali, vertici che sprofondavano in prospettive oniriche, perché durante i sogni si facevano rivoluzioni gravitazionali inscenate in giardini primaverili con fontane silenziose e uomini e donne che camminavano all’ombra degli aranci, poi le immagini casuali di un passato dove i personaggi venivano interpretati da giovani volti, qualcuno aveva riscritto le mie battute, per farle diventare più drammatiche e gli sceneggiatori consumavano le notti cercando di capire la psicologia di strani esseri che si nascondevano tra i cuscini di divani impolverati, c’erano enormi lampadari, gocce di vetro come stille d’aurora e le pipe di oppio ancora calde, i piedi nudi di una donna di marmo e la sua voce che riecheggiava nei saloni ormai vuoti, gli enormi dipinti sulle pareti rosse, lui aveva le mani legate dietro la schiena e una ragazza gli solleticava i capezzoli con la punta dei suoi guanti di damasco, c’erano corridoi energetici in cui i colori risalivano lungo la colonna vertebrale di un’architettura ottocentesca, ancora i palazzi e le scalinate di pietra e Hinton che mi passa la sua pipetta, l’hashish marocchino, un paio di boccate, cerco appigli visivi mentre le figure si sdoppiano e sento la sedia tenersi in bilico sulle crepe delle parole, gli altri stanno ridendo e scherzando e ci sono fasi alterne di silenzi e sorsate di birra, sguardi in macchina e alcune frasi fuori sincrono e la mattina è un tappeto sonoro di richiami di uccelli e una leggera pioggia, le cime degli alberi nell’aria in ondulazioni cromatiche, ramificazioni dell’ego in inedite teorie analitiche, si intrecciavano il linguaggio e la forma dei fenomeni, un ennesimo paragrafo che lo scrittore trascriveva da una fonte di pensieri misteriosa, i paesaggi dai colori modificati, gli specchi che irradiavano personalità divise in infiniti riflessi, tu, noi, gli altri e chi ci osservava, seduto su una sedia, dall’altra parte del vetro, appuntando note su fogli ingialliti dal sonno.

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