Stanze
dalle pareti gialle e donne impazzite da abbandoni e fallimenti, progetti che
le discariche della vita raccoglievano, si collezionavano miserie e oggetti
senza più valore, spazi fisici e mentali che il disordine disponeva in
geometrie da crisi di astinenza. Qualcuno aveva abbandonato la città per
rifugiarsi tra le colline, si costruivano case e si scopava liberamente, poi
c’erano state fughe e false identità, bisognava nascondersi dalla polizia e
aspettare. Dipendenze e alcolizzati cronici che spaccavano le vetrine dei pub
per fregarsi qualche bottiglia di liquore, pere e punizioni, pene e
umiliazioni, le stanze oscure con le pareti imbottite, le voci e le urla,
terapie sperimentali e pillole di acido per frantumare la psiche, distorsioni
comportamentali e lingue che nessuno sembrava comprendere, ripetilo ancora,
suggeriva la dottoressa, mentre accavallava le gambe e potevi vederle l’orlo
delle calze, legato sul lettino, i coglioni che pulsavano, una settimana senza
sborrare, questa sembrava essere la sua strategia, mentre si sfilava le scarpe,
conoscendo bene le tue debolezze e scoprendone di nuove, seduta dopo seduta,
domanda dopo domanda, dovremmo continuare con questa terapia, diceva,
guardandoti negli occhi, non riuscivi a controllare le tue erezioni, lei
prendeva appunti, poi se ne andava, il cazzo di marmo negli anelli di
costrizione.
Luoghi
bui e fantasie proibite e giorni che svanivano oltre le sbarre di prigioni
compulsive, ossessioni e ripetizioni, qualcuno ti aveva dato dei pennelli, i
disegni sui muri, la vernice che colava, stilizzazioni falliche, camice di
forza, il tempo e l’attesa, il ronzio delle lampade, i corridoi che
sussurravano agonie senza uscite.
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