domenica 18 dicembre 2016

Aberporth #2


C’erano scie di malinconia in ogni ricordo che il cuore tratteneva con sé e le onde del mare che risuonavano di risate e discorsi perduti, quelli che facevamo sulla spiaggia, vicino alla tua casa, non ero più tornato su quell’isola, non ne avevo avuto il coraggio, c’erano odori che appartenevano a quel luogo, la luce dell’estate e i suoi colori, quelli del tramonto sull’acqua e anche le tue mani e le labbra bagnate e le carezze e i pompini fra le rocce e in ogni granello di sabbia potevo scorgere un frammento d’infinito, il calore sulla schiena, sul volto, sulle palpebre chiuse e i racconti dei marinai scomparsi da questa terra, le rovine di un porto, perché non c’era più nessuno che avesse il coraggio di lasciare la propria casa e tutto quello che possedeva e partire, le scoperte facevano paura e anche gli addii e la spuma bianca che si infrange sugli scogli, la sua voce e il suo respiro e una linea azzurra, lontana e irraggiungibile, oltre la quale il mondo stesso curvava per ripetersi al di là delle possibilità dello sguardo, un momento in cui non avessi pensato più a nulla sarebbe stato un attimo di pura libertà, lo sapevano le pietre che si scrollavano di dosso il peso dell’esistenza e le nuvole e l’aria che ti alleggerivano dentro, potevi sentirlo l’arrivo della pioggia, ti avrei stretta ancora sotto le lenzuola della notte, perché non potevo abbandonarti in quel buio anche se pensavi che l’avessi fatto, ti portavo con me, giorno dopo giorno, tra il cielo e le stelle e i fiori di luce che da essi nascevano in ogni alba che continuava a sfiorarmi.

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