venerdì 23 dicembre 2016

Aberporth #4

Era notte ed ero in piedi su una grande roccia, di fronte al mare, quieto, c’era una foschia a nascondere i contorni del mondo e le stelle erano velate, mute e silenziose. In questa oscurità non c’era nessuna direzione da seguire, nessun destino da indovinare.
I primi segnali di luce fendettero la nebbia, due brevi, uno lungo, altri due brevi, risposi allo stesso modo con la mia torcia e attesi.
La barca tagliò il grigio e arrivò sulla piccola spiaggia, alla sinistra della roccia sulla quale aspettavo, scesi con attenzione fino a raggiungerla, io e l’uomo che adesso era di fronte a me ci stringemmo la mano, senza parlare. Lui scaricò due casse di legno, poi accese la sua pipa. Io avevo la mia, fumammo in silenzio, ascoltando i canti del mare. 

Tornai verso la casa, una vecchia cappella che con gli anni avevo ristrutturato, in cima ad una collina, poco distante dalla piccola spiaggia. Portai prima una cassa, poi l’altra. Non c’era nessuno intorno al posto dove vivevo. Le stanze erano piene di strani oggetti che avevo collezionato durante i miei viaggi, gli innumerevoli libri, album di vecchie fotografie, statue, maschere, feticci, quadri e disegni. Aprii le casse con il mio vecchio coltello da pescatore, il manico di legno, la lama lucente nel riflesso delle candele accese. Le sostanze erano state imballate nel modo giusto, le avrei sistemate il giorno seguente. Andai su uno degli stretti terrazzi che si affacciavano sulle scogliere, un leggero riverbero ad oriente, mentre la foschia diradava e la pioggia iniziava a cadere. Niente sogni, nessuna consolazione. Un giorno dopo l’altro, il tempo si accumulava riempiendosi di polvere. Era il momento giusto per una dose. Tornai dentro e mi sedetti sul divano di pelle nera. Gli strumenti sul tavolino basso di legno. Guardai la rapida apparizione di un volto scavato nello specchio. Non lo salutai, ci conoscevamo ormai da troppo tempo.

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