martedì 6 dicembre 2016

Tan y Graig #3



La casa era grande e vuota e silenziosa, con l’ombra di un triste ragazzo proiettata su un muro, quando il fuoco disegnava i suoi ricordi e lui sedeva su una poltrona davanti alle fiamme, aggiungendo ciocchi di legna, perché quella danza luminosa continuasse a vivere. 
Poi le passeggiate nei boschi, durante un temporale, le voci degli alberi, lo scorrere di un fiume, i richiami delle pecore e le montagne velate dalla nebbia, le cave violacee di ardesia e il profilo rossastro di una collina. Una giovane ragazza seduta su un muretto di sassi, il volto che si girava per guardare lo scrittore che camminava, incuriosita, un saluto, gli occhi lucenti, i miei vestiti sporchi e l’aria di un vagabondo. 
Sarebbe stata una benedizione perdersi e non ritrovare più la strada di casa, sarebbe stato il modo migliore per sconfiggere le mie paure. 

Di nuovo quelle mura, ad attendermi, con i libri e le pietre e gli oggetti che la memoria di un luogo continuava a custodire. Lo scrittore preparò un tè e si sedette nella veranda, non c’erano forme oltre le finestre, solo una tela grigia senza nessun segno. La pioggia batteva e il tempo rallentava, non c’era mai stato nulla d’importante da dire, così tante le parole sprecate, così lunghe le attese, i giorni smarriti nel vortice dei pensieri, la quiete di questo momento, chiudi gli occhi per osservare con attenzione quel vuoto a cui appartieni e che è la tua dimora, la tua essenza, la vita che scompare e riappare nella distanza fra un respiro e quello successivo, le maree degli anni, le spiagge sconosciute sulle quali, alla fine, tutti noi approderemo. 

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