venerdì 20 ottobre 2017

freewheelin' #32


Alcuni pensieri avevano fatto irruzione nella sala controllo della scatola cranica, avevano ammanettato e imbavagliato i presenti e si erano impossessati dei comandi cerebrali. Era iniziato un discorso immaginario tra il fotografo e qualcuno che voleva infangare il suo nome, uno scandalo sarebbe stato quello che ci voleva, per avere un po’ di notorietà, con repliche e attacchi e insulti. I momenti sospesi in cui mi ero ritrovato in delle stanze circondato da altre persone che parlavano di una marea di stronzate inutili, così tante che mi sembrava di affogare fra le loro voci, il vento continuava a trasformare le foglie in ballerine impazzite e isteriche, improvvisamente il sole si mostrava, una divinità che ogni essere vivente si prostrava per adorare, i piedi nudi di una ragazza sulla moquette che ricopriva il pavimento della camera dei giochi, qualcuno aveva pubblicato immagini oscene di pecore sodomizzate da contadini sotto l’effetto di sostanze sconosciute, una nuova operazione Julie ci sarebbe voluta, aveva gridato una donna sul punto di levarsi le mutandine per farmele odorare, un’altra si era accovacciata e aveva pisciato per strada, guardandomi negli occhi, un rospo era rimasto immobile sulla terra, completamente mimetizzato fra i colori del suolo, solo due puntini rossastri tradivano la sua presenza, le minacce erano terminate e con loro la ramificazione delle possibilità di inventare scenari psichici inesistenti. C’era stata una mostra cinematografica in una città abbandonata, devastata anni prima da una esplosione nucleare, gli schermi bianchi erano stati dipinti con vernici atomiche, qualcuno si divertiva ad accendere e spegnere il proiettore, spettatori schizofrenici in preda a crisi epilettiche, dottori con siringhe ipodermiche che si iniettavano i propri veleni, la giuria era composta da due scimmie danzanti, che provavano piacere a grattarsi il culo a vicenda, qualcuno è salito sul palco e ha distrutto un premio di vetro e cenere, lo scrittore osservava le tendine della propria stanza, le geometrie cromatiche che si muovevano ed emanavano bagliori rossastri, una maschera lo aveva masturbato nel bagno di una stazione ferroviaria, la sborra che colava densa come vernice, appiccicosa come silicone, fermate quell’uomo ha ordinato una donna vestita di pelle nera, le manette che scattano ai polsi, la cella di isolamento, ora ci appartieni è scritto su una delle pareti, vieni fatto spogliare e loro ti ispezionano, una bomba era esplosa nel buco del culo di una metropoli dell’Occidente Organizzato, i superstiti si erano tolti la vita da soli, l’utopia di una strage negli sguardi bianchi di manichini inginocchiati nel sangue.

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