mercoledì 11 ottobre 2017

Llanidloes #6


Traslochi e spostamenti, gli scatoloni di cartone pieni di oggetti, i disegni e le fotografie, i vecchi mobili, Carl parlava senza fermarsi un attimo, discuteva, rideva, dava indicazioni, inventava storie e dialoghi, costruiva sceneggiature anfetaminiche e improvvisava ruoli eccentrici, alimentati da eccessi di dopamina.  Pam divideva lo spazio dentro al furgone secondo logiche razionali e simmetriche e ogni cosa si incastrava in geometrie liquide e tridimensionali come le immagini di un fuoco elettronico, su una delle pareti della nuova casa, i cui bagliori lisergici si riflettevano in cornici di metallo nero, la moquette sul pavimento, morbida e rassicurante, i cuscini orientali e il tavolino di legno basso e consumato, qualche misterioso decoratore di interni doveva aver spiato i sogni dello scrittore e rubato i suoi arredamenti onirici e nuove pagine bianche in un diario dove segnare gli orgasmi dati e quelli ricevuti, i passi incerti di una disintossicazione alcolica e quelli bizzarri di una dipendenza sessuale e le sedie per il bondage fabbricate dal padre di Rebbecca, chiuse in qualche oscura stanza dei giochi, lo scrittore poteva solo prendere nota di tutti gli eventi e segnare punti su una immaginaria linea temporale e tracciare segmenti narrativi che andassero a formare storie e trame, c’erano corde di luce a collegare i corpi fra di loro e racconti che il giorno poteva mutare a seconda dello spostamento delle nuvole nell’aria, le gocce di pioggia che punteggiavano la finestra in una grammatica di distorsioni visive, bastava guardarci dentro per intravedere l’origine stessa di un temporale, i corvi si alzavano e si posavano in stormi dalle grottesche forme, disegni in movimento dai pendii verdi delle colline verso il cielo grigio, la camera delle punizioni era ancora da sistemare, gli anelli di costrizione, l’energia bianca che tornava a pulsare, il desiderio del controllo e i vecchi manoscritti sparsi su un tavolo, le candele che qualche mano accendeva, le lunghe dita che sussurravano ricordi, le voci che ancora parlavano oltre le barriere del sonno e le strade della mia città dove mi ritrovavo a camminare una volta superate le frontiere della notte, i soliti rancori, la rabbia improvvisa, i copioni recitati per tutta una vita, i muri sembravano muoversi, qualcuno si puliva il culo con teoremi e dimostrazioni euclidee, le mele stilizzate su una tovaglia di plastica, il leggero dondolio della mia testa, il vuoto dietro alle spalle, continuavamo a parlarci in silenzio perché gli uccelli del paradiso potessero ancora volare.

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