venerdì 10 agosto 2018

Aberystwyth #4

I risvegli nella mansarda, con il cielo grigio e i fischi dei gabbiani, le storie del mare che le case e i vicoli e i pub raccontavano, le notti passate sul pavimento di legno della casa di Sarah, i suoi amici musicisti che suonavano e andavano fuori di testa con l’erba, le pillole e il vino, l’alba che ogni tanto vedevamo senza sapere come ci eravamo arrivati, le cascate scintillanti di note, la legna che crepitava nella stufa di ghisa, il gatto nero che mi si addormentava su una gamba, quando ero seduto al tavolo a scrivere, mentre gli altri ci davano dentro con i loro strumenti e Sarah era in piedi, sbronza, con i pennelli in mano a comporre i suoi tramonti di meraviglia e colori.
E i fremiti delle dita quando afferravano nervosamente una penna, perché c’erano ancora emozioni che mi cercavano e volevano diventare vive e concrete, come le immagini che continuavo a scattare, lasciando che fossero le forme geometriche a catturarmi, era tutto collegato in una maniera che non avrei mai creduto possibile, ci avevo messo anni a liberarmi da costrizioni mentali, un fluido rosa che colava in danze di elefanti ubriachi, sarei potuto arrivare ovunque solo con la mia immaginazione, il flusso ininterrotto di pensieri che da confusione diventava infinita materia creativa, la nostra mente era uno strumento che avremmo solo dovuto imparare a usare, il silenzio era il primo passo per farlo, poi la quiete dorata e il vuoto, i messaggi di mio padre lasciati in bottiglie di vetro, camminavo su una spiaggia scura in una mattina che la notte aveva dimenticato di amare, le stelle ancora accese negli sguardi delle maree, naufragavo perché sapevo che l’abisso mi avrebbe accolto, c’era una profonda bellezza che solo i segreti del mondo potevano ancora sussurrare.

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