domenica 28 ottobre 2018

freewheelin' #39

Rosso. Tessuti anamorfici su superfici tessili. Morbidi contatti epidermici. Lente visuali semisferiche. Una scala per raggiungere il palco. La sedia nera. Isolata e silenziosa. Le quinte neoclassiche con disegni stilizzati di antiche dimore elleniche. Un sipario aperto e ondulato. Il pianoforte striato da ombre e attese. Le melodie composte nelle mattine di nebbia e freddo. Gli ultimi strati di nuvole che il cielo spostava. Neon rosa in tramonti elettronici. Le statue racchiuse in angoli prospettici. Diverse dimensioni che gli oggetti assumevano fra giochi e illusioni ottiche. Gli spalti vuoti. I contenitori di vetro all’interno di una teca impolverata. Le sostanze. Le orme che lasciavano passi. I passi che diventavano percorsi. Chi avevamo seguito negli inganni del tempo. Chi non avevamo più ascoltato. Chi aveva accolto l’oblio di sinfonie e impressioni. E ancora la notte con le sue tentazioni di cosmi e universi e ancora il giorno con le sue acrobazie di luce e riflessi e i volti dalle balconate ovali ad attendere applausi che non sarebbero mai arrivati. Bolle di elettricità statica. Titoli inventati per film inesistenti. Girava la pellicola a velocità supersonica, barriere sonore esplose in inseguimenti aerei, le strade assolate delle metropoli quadrate, le nuove geometrie metropolitane che solo obiettivi alieni potevano trasformare in codici di insegnamenti primitivi, saremmo di nuovo stati tutto ciò che si era estinto, le civiltà sommerse, quelle svanite, le divinità decapitate, quelle esplose in rituali di annientamento, ancora le estasi di scritture parallele, in cui si moltiplicavano oltre ogni possibile logica le direzioni narrative e le loro trame, mattoni lucidi come sogni di palazzi onirici, le stanze che si accumulavano dietro porte di metallo nero, i corridoi senza un’apparente fine, un immenso autobus fermo in un parcheggio della memoria, i lavori offerti da loschi personaggi, le promesse che il denaro avrebbe nascosto in un ghigno di invitanti promesse, i nuovi bisogni, le false circostanze in cui ognuno mentiva a se stesso, la musica continuava il suo ritmo di idee e immagini, brevi danze sugli orli di un perimetro di alabastro, le vene della pietra, il dischiudersi di una viaggio che continuava a fabbricare parole e visioni, le lettere che lo scrittore accarezzava su pagine di sabbia e tramonti lontani, un altro bicchiere di gin e tonic sarebbe stato preparato sul bordo di una piscina tropicale, i colori che sfumano, l’aria calda, le labbra morbide, ce ne saremmo andati via anche da qui, prima che le pareti di questo teatro dell’inconscio diventino cenere e pallida malinconia.

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