martedì 9 giugno 2015

homesick #21

Il lunedì mattina le persone sembravano sempre più cattive, soprattutto in macchina, per strada, quando suonavano a tutto spiano se qualcuno che avevano davanti non si muoveva o se ci metteva quei quattro secondi di troppo a partire quando scattava il verde. E loro, con plateali gesti, facevano capire tutta l’impazienza che provavano, perché erano in ritardo e bisognava sbrigarsi. Comunque la faccia delle persone, il lunedì mattina, non era un granché da guardare e anche gli altri giorni non si scherzava, c’era stanchezza su quei visi e rassegnazione ed erano occhi e bocche e nasi e orecchie di tutte le età. E ricominciavano, lungo i marciapiedi, le attività di ogni giorno, con i bengalesi che montavano le loro bancarelle per riempirle di vestiti, quasi tutti di origine cinese. La merce era imballata dentro grandi scatole di cartone, i bengalesi arrivavano con il loro furgone, montavano la bancarella e iniziavano a sistemarci sopra i vestiti, tirandoli fuori dalle grandi scatole, poi la sera era il contrario, ogni giorno così, una vita in mano agli scatoloni, per raccimolare quattro soldi da mandare nel loro paese. Manco gliene fregava niente di stare nella mia città, se c'era la possibilità di guadagnare qualcosa loro cercavano solo di coglierla. Poi c'era anche chi era meno fortunato e passava il proprio tempo nell'attesa della pioggia per assalirti con i suoi ombrelli e chi andava in giro pieno di cianfrusaglie senza valore, pagliaccio del consumo, cercando di farti comprare un braccialetto o qualche altra stronzata. Era grottesco e orribile vedere uomini e ragazzi ridotti così e accettare questa situazione. C'era chi non reggeva e si disperava e quando arrivava con le sue rose senza spine e senza profumo, perché così sono le rose bengalesi, iniziava a recitare una litania incomprensibile e piagnucolante sul fatto che non c'era lavoro, non c'erano soldi e aiutami e dammi qualcosa e alcune volte erano così insistenti e patetici che mi facevano perdere la pazienza, perché li vedevo chiaramente che fingevano, non solo ti dovevi subire le ipocrisie di quelli con i soldi o dei borghesucci, pure i morti di fame ti volevano inculare e forse ce ne avrebbero avuto anche più diritto, però mi faceva male vedere quello stesso desiderio, l’identica brama nello strapparti qualche spicciolo.

La domenica ero stato con Maria al parco della Snia sulla Prenestina, una delle tante zone industriali abbandonate e lasciate libere di andare in rovina.  Nel corso degli anni alcune persone avevano occupato questi spazi e li avevano risistemati, ci avevano fatto un orto, una ciclofficina, diversi luoghi di aggregazione, una cucina e il posto aveva così riconquistato una sua vita con gruppi di persone che lo frequentavamo, che parlavano, suonavano, fumavano e bevevano. E questa domenica c'era parecchia gente e l'aria di una festa e una fila molto lunga per prendersi un panino e una birra. C’erano anche delle bancarelle, all'interno dei resti di un capannone industriale, piene di libri. Ce ne avevo ancora molti da leggere a casa e quindi non ne ho comprato nessuno. Ci siamo messi in fila per mangiare e abbiamo aspettato il nostro turno e ho iniziato a guardami intorno e non è che le facce di chi vedevo mi piacessero particolarmente, mi sembravano le stesse di quelli che il lunedì mattina andavano al lavoro in giacca e cravatta solo che qui avevano vestiti più alternativi, ma il modo di fare mi sembrava identico, le cose inutili di cui parlavano, i gesti che facevano. Siamo arrivati alla cassa e ci siamo presi quello di cui avevamo voglia, poi ci siamo andati a fare una passeggiata nel parco e c’erano altre persone sedute, sdraiate, da sole o a gruppi e averle un poco lontane, non attaccate come prima, lungo la fila, me le ha fatte vedere in una luce diversa, anche perché il sole stava calando, era metà pomeriggio e noi avevamo mangiato e bevuto e mi sembrava più piacevole la situazione, ecco, persone che si rilassano e non disturbano. Non so se fossero le stesse di prima o altre, ma queste mi piacevano di più e allora ci siamo stesi sull'erba, io e Maria, con le nuvole nel cielo, il sole caldo ma non troppo, le cime degli alberi che si muovevano nell'aria, l'odore dei treni e delle traversine, perché dietro al parco c'era un deposito ferroviario. Poi due ragazzi, che erano seduti poco distanti da noi, hanno iniziato a baciarsi, le loro lingue si cercavano appassionate, non avevo mai visto due uomini fare così. Ci siamo alzati e lì vicino c'era una rete, con un buco, ci siamo passati attraverso e si poteva vedere, di sotto, un piccolo lago, che si estendeva tra i resti delle fabbriche rovinate che un tempo avevano voluto costruirci intorno. Si vedeva anche altra gente là sotto, perché stavano facendo un concerto, così abbiamo deciso di scendere a dare un'occhiata. E allora giù per la Prenestina fino al piazzale e poi un pezzo di Portonaccio e qualcuno aveva aperto un varco in un muro e ci siamo passati attraverso e c'era tanta gente, troppa e averla di nuovo intorno mi ha infastidito, ci siamo fatti un giro, c'era un gruppo che suonava su un palco di legno ma la musica non era un granché. Era quasi sera e eravamo stanchi e allora io e Maria ce ne siamo tornati verso casa. Una volta in camera ci siamo stesi sul letto e ci siamo abbracciati. Abbiamo dormito per un po' ed era bello sentirla respirare e averla tra le braccia.
Anche i lunedì sarebbero dovuti diventare giorni di riposo.

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