giovedì 23 febbraio 2017

Penny (2009)


Penny era tornata da Amsterdam. Si era fatta un paio di settimane in Olanda, per spassarsela un pò, per parlare con alcuni distributori, per fumarsi della buona erba. Volevo molto bene a Penny, era una ragazza magica, i suoi sorrisi erano fontane di luce, i suoi occhi universi nei quali perdersi. Un paio di volte avevamo preso dell’acido insieme, non ricordo esperienze altrettanto emozionanti.

Ero seduto su una sdraia vicino alla piscina della villa nella quale vivevo. Un amico me l’aveva data in prestito per tutta l’estate, era un luogo perfetto per lavorare, il sole donava infinita grazia al corpo delle ragazze che fotografavo. Alcune di loro erano talmente belle che mi toglievano il respiro. Nei momenti in cui riuscivo a svelare i loro segreti avevo sempre l’impressione di assistere ad un miracolo. Quello della vita, della gioia, dell’amore.

Chiesi a Penny di accavallare le gambe, lei sorrise maliziosa e complice e si sfilò le infradito. Io fotografavo. Il pomeriggio stava per lasciare posto alla sera, i capelli di Penny avevano riflessi infuocati, i suoi occhi sprofondavano nella mia anima. Le chiesi altre pose, quelle in cui le si vedevano i piedi erano le mie preferite.

Penny si stava divertendo sul serio. Rideva e iniziò a toccarsi, si accarezzava piano, dolcemente. Io continuavo a scattare.

Mi guardava negli occhi. Un vibratore entrava ed usciva dalla sua fica.

Eravamo sdraiati sulle poltrone di vimini, sorseggiavamo white russian, la notte era arrivata, l’odore dei gelsomini apriva possibilità infinite ai nostri sensi, chiacchieravamo e ridevamo. Lei si fece più vicina. La presi tra le braccia, la sua testa si piegò sopra la mia spalla, le accarezzai un seno, aveva i capezzoli duri.

Mi fece uno dei suoi sorrisi.

Scolai il white russian e le sussurrai dolci parole nell’orecchio.

Il suo odore.

La presi per mano e le stelle mi sembrarono per un attimo ancora più brillanti.

Andiamo, disse.

Rimasi in silenzio e la seguii.


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