Penny era tornata da Amsterdam. Si era fatta un paio di settimane in Olanda, per spassarsela un pò, per parlare con alcuni distributori, per fumarsi della buona erba. Volevo molto bene a Penny, era una ragazza magica, i suoi sorrisi erano fontane di luce, i suoi occhi universi nei quali perdersi. Un paio di volte avevamo preso dell’acido insieme, non ricordo esperienze altrettanto emozionanti.
Ero seduto su una sdraia vicino alla piscina della villa nella
quale vivevo. Un amico me l’aveva data in prestito per tutta l’estate, era un
luogo perfetto per lavorare, il sole donava infinita grazia al corpo delle
ragazze che fotografavo. Alcune di loro erano talmente belle che mi toglievano
il respiro. Nei momenti in cui riuscivo a svelare i loro segreti avevo sempre
l’impressione di assistere ad un miracolo. Quello della vita, della gioia,
dell’amore.
Chiesi a Penny di accavallare le gambe, lei sorrise maliziosa e
complice e si sfilò le infradito. Io fotografavo. Il pomeriggio stava per
lasciare posto alla sera, i capelli di Penny avevano riflessi infuocati, i suoi
occhi sprofondavano nella mia anima. Le chiesi altre pose, quelle in cui le si
vedevano i piedi erano le mie preferite.
Penny si stava divertendo sul serio. Rideva e iniziò a toccarsi,
si accarezzava piano, dolcemente. Io continuavo a scattare.
Mi guardava negli occhi. Un vibratore entrava ed usciva dalla sua
fica.
Eravamo sdraiati sulle poltrone di vimini, sorseggiavamo white
russian, la notte era arrivata, l’odore dei gelsomini apriva possibilità
infinite ai nostri sensi, chiacchieravamo e ridevamo. Lei si fece più vicina. La
presi tra le braccia, la sua testa si piegò sopra la mia spalla, le accarezzai
un seno, aveva i capezzoli duri.
Mi fece uno dei suoi sorrisi.
Scolai il white russian e le sussurrai dolci parole nell’orecchio.
Il suo odore.
La presi per mano e le stelle mi sembrarono per un attimo ancora
più brillanti.
Andiamo, disse.
Rimasi in silenzio e la seguii.
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