martedì 8 agosto 2017

Cymru #17

Bolle di luce e aria, superfici liquide e osmotiche, le coperte tirate fino al mento e il tavolo con un enorme barattolo pieno di funghi allucinogeni, le tazze di tè e il cappellaio matto che sorride in un angolo della stanza, le pareti che iniziano a curvare e i percorsi della mente ad annodarsi come radici, i tunnel percettivi per oltrepassare i normali piani di realtà e i pensieri in agguato, monologhi ripetuti  in ipnotiche successioni, parole come micce pronte a far esplodere frasi senza senso, gli assalti psichici, verbali e fisici, ogni movimento che viene rallentato e la memoria che ricostruisce attraverso la scrittura le proprie soggettive visuali, i verbali in una stazione di polizia, il testo di una performance teatrale, happening stradali, una vestaglia viola indossata la mattina e il cazzo duro, la posizione del loto e i respiri, il tempo interiore, mondi di puro ossigeno, le visioni ad alta quota, nelle profondità di un azzurro infinito, le distese di nubi e le città immaginarie, un’intervista davanti ad una macchina da presa, i bizzarri costumi e le maschere, un frustino in una mano, gli stivali di cuoio con il tacco alto, le corde intorno ai polsi, la strana sensazione di aver assunto una sostanza quando non se ne ha la certezza, il sole fuori dalla sfera di vetro, una mano che la agitava per far cadere la neve, i giorni passati, uno dopo l’altro,  l’odore della pelle la mattina, la mia lingua sulla sua schiena, una scopata dopo l’altra, risvegli di innocenza ed erezioni d’ebano, famiglie allargate, strutture sociali disperse in mosaici di parentele inventate, qualcuno, un giorno, si era ripreso la vita e aveva deciso di passarla come meglio credeva, una pillola di acido, una pipa da hashish, i cuscini orientali stesi sulla moquette, le cassette musicali disposte in fila, alcuni giorni avevo ancora la sensazione di essere in un luogo del passato, cercando di ricordare il lavoro, la casa, le amicizie e gli amori, un doppio che vagava nella notte, per quelle strade in cui si era trasformato in un’ombra, le urla di un ragazzo ubriaco e le sue alcoliche minacce di morte, proiezioni di oggetti sui muri gialli della stanza, i disegni floreali delle tende che si staccavano dal tessuto per vibrare nel vuoto, la nebbia che sfumava i contorni degli alberi neri, macabre stilizzazioni spettrali, il gelo che disegnava astratte composizioni usando linee di ragnatele dimenticate, l’aria fredda che respiravamo, la sua mano era calda, il suo sguardo triste, ogni tanto, quando si perdeva nei propri pensieri, Maria mi aveva detto che con ogni donna sarebbe stato lo stesso, aveva ragione, erano quei fili lucenti ad unirci, quelli che avevo tagliato così brutalmente, così tante volte, quando la necessità di essere solo diventava opprimente e mi sembrava di soffocare, ci pensava l’esistenza ad aprire e chiudere i propri cicli, non ci si poteva fare niente, se non impararli e comprenderli e alla fine abbandonarsi ad essi.


Dove saremo tra un minuto, un giorno, un anno, che importanza può avere se ancora non abbiamo capito dove siamo ora?

Nessun commento:

Posta un commento

dream #143

  Su una spiaggia, in una località balneare, lungo le coste del Galles, ero da solo e mi sono tuffato nell’acqua, c’erano delle correnti che...