Bolle
di luce e aria, superfici liquide e osmotiche, le coperte tirate fino al mento
e il tavolo con un enorme barattolo pieno di funghi allucinogeni, le tazze di
tè e il cappellaio matto che sorride in un angolo della stanza, le pareti che
iniziano a curvare e i percorsi della mente ad annodarsi come radici, i tunnel
percettivi per oltrepassare i normali piani di realtà e i pensieri in agguato,
monologhi ripetuti in ipnotiche
successioni, parole come micce pronte a far esplodere frasi senza senso, gli
assalti psichici, verbali e fisici, ogni movimento che viene rallentato e la
memoria che ricostruisce attraverso la scrittura le proprie soggettive visuali,
i verbali in una stazione di polizia, il testo di una performance teatrale,
happening stradali, una vestaglia viola indossata la mattina e il cazzo duro,
la posizione del loto e i respiri, il tempo interiore, mondi di puro ossigeno,
le visioni ad alta quota, nelle profondità di un azzurro infinito, le distese
di nubi e le città immaginarie, un’intervista davanti ad una macchina da presa,
i bizzarri costumi e le maschere, un frustino in una mano, gli stivali di cuoio
con il tacco alto, le corde intorno ai polsi, la strana sensazione di aver
assunto una sostanza quando non se ne ha la certezza, il sole fuori dalla sfera
di vetro, una mano che la agitava per far cadere la neve, i giorni passati, uno
dopo l’altro, l’odore della pelle la
mattina, la mia lingua sulla sua schiena, una scopata dopo l’altra, risvegli di
innocenza ed erezioni d’ebano, famiglie allargate, strutture sociali disperse
in mosaici di parentele inventate, qualcuno, un giorno, si era ripreso la vita
e aveva deciso di passarla come meglio credeva, una pillola di acido, una pipa
da hashish, i cuscini orientali stesi sulla moquette, le cassette musicali
disposte in fila, alcuni giorni avevo ancora la sensazione di essere in un
luogo del passato, cercando di ricordare il lavoro, la casa, le amicizie e gli
amori, un doppio che vagava nella notte, per quelle strade in cui si era
trasformato in un’ombra, le urla di un ragazzo ubriaco e le sue alcoliche
minacce di morte, proiezioni di oggetti sui muri gialli della stanza, i disegni
floreali delle tende che si staccavano dal tessuto per vibrare nel vuoto, la
nebbia che sfumava i contorni degli alberi neri, macabre stilizzazioni
spettrali, il gelo che disegnava astratte composizioni usando linee di
ragnatele dimenticate, l’aria fredda che respiravamo, la sua mano era calda, il
suo sguardo triste, ogni tanto, quando si perdeva nei propri pensieri, Maria mi
aveva detto che con ogni donna sarebbe stato lo stesso, aveva ragione, erano
quei fili lucenti ad unirci, quelli che avevo tagliato così brutalmente, così
tante volte, quando la necessità di essere solo diventava opprimente e mi
sembrava di soffocare, ci pensava l’esistenza ad aprire e chiudere i propri
cicli, non ci si poteva fare niente, se non impararli e comprenderli e alla
fine abbandonarsi ad essi.
Dove
saremo tra un minuto, un giorno, un anno, che importanza può avere se ancora
non abbiamo capito dove siamo ora?
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