La strada rifletteva le luci rossastre delle insegne
verticali dei cinema, le persone camminavano lungo i marciapiedi e attendevano
sguardi di intesa, c’erano miriadi di sostanze proibite da comprare, decine di
stanze in cui rinchiudersi per trasformare l’oscurità in estasi. Le automobili
scivolavano lente sull’asfalto e qualcuno mi aveva chiesto di scrivere un
articolo su questa città, avevo preso la mia borsa e la custodia della macchina
da scrivere e una stanza in affitto per una settimana. Dalla finestra al
secondo piano osservavo un mondo di misteriose figure appoggiate agli angoli
dei palazzi, di denti d’oro e fumo di sigarette, di posaceneri pieni e locali
in cui sedersi su alti sgabelli e bere bicchieri di liquori e scambiare
occhiate con donne dalle voci roche e le gambe accavallate.
Avevo ucciso uno scarafaggio sul pavimento di legno e
preparato la siringa per una dose, poi tutto era diventato più lento e
confortevole, avevo atteso e galleggiato, poi ero sceso per strada e avevo
osservato il mondo dei riflessi sulle superfici, sempre più convinto che quella
fosse la realtà e il resto solo un’illusione.
L’uomo alla porta chiede dei soldi, una mano glieli
allunga, un sipario che si apre, un nero che suona la chitarra e l’armonica,
gli occhiali scuri, il sussurro di una pistola nascosta sotto la giacca,
ordiniamo da bere, io e la mia ombra, qualcuno mi sfiora con il suo gomito, un
segnale, seguo la donna dietro una porta, una luce fioca, un tavolo, qualcuno
che mi chiede cosa voglio, il fruscio delle calze, una mano che mi perquisisce,
l’odore del desiderio, quello della paura.
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