giovedì 27 dicembre 2018

Aberystwyth #10

Il più delle volte, durante la notte, mi ritrovavo in luoghi che non erano gli stessi in cui mi ero addormentato. Era probabile che il mio corpo continuasse a rimanere disteso in una delle stanze di LLys Wen ma una parte di me era altrove, poteva essere Roma, una città sconosciuta, l’interno di un palazzo e delle sue misteriose camere, una stazione ferroviaria o un aeroporto, un luogo che cambiava forma e sostanza e i cui passaggi erano imprevedibili. C’erano incontri con persone che avevano attraversato la mia vita, alcune di esse erano ancora molto giovani soprattutto quelle che avevo conosciuto durante la mia adolescenza e mai più rivisto. Mi accorgevo, sogno dopo sogno, che questo era un modo per risanare le ferite che ci eravamo inflitti, un modo concreto per dirigermi nel centro stesso di conflitti irrisolti e curare le emozioni negative che essi avevano generato. Ogni volta che riemergevo nel mio letto portavo qualcosa nel mio cuore di quegli incontri e nello stato di transizione in cui mi trovavo iniziavo solamente a respirare senza appigli logici, mentali o psicologici, ampliavo i respiri in serie continue di onde interiori piene di calma e quiete. Alcuni incontri erano molto piacevoli, in altre occasioni c’erano delle esperienze sessuali, portavo tutto con me e lo assimilavo in uno spazio personale protetto e avvolgente. 
I momenti di passaggio erano i più preziosi, non quelli tra un sogno e un altro, che stavo ancora cercando di imparare a usare, ma quelli tra lo stato onirico e la veglia, era una dissolvenza incrociata fra due mondi, fra le immagini del primo e quello in cui si trovava il mio corpo, tra le emozioni provate e la calma profonda di uno stato di coscienza senza attriti o preoccupazioni.
E il giorno sapevo di essere ancora qui, nella magia di questa terra, delle sue colline, dei colori, della luce, degli elementi in continua mutazione. Avevo infine trovato un luogo che fosse uguale a quello che avevo dentro. Lo stesso respiro, lo stesso vivere.
Discendere dentro di me, specialmente attraverso la meditazione, significava arrivare nel centro silenzioso dell’esistenza, non la mia in senso personale, ma quella che era presente ovunque e di cui ognuno di noi faceva parte. Entrare in quel luogo può sembrare un’esperienza solitaria e lo è nel suo apparente isolamento ma è anche la scoperta che non siamo soli perché quel luogo appartiene a tutti. 

Ogni giorno è veramente una morte e una rinascita, in un ciclico movimento di noi stessi e di tutto quello che ci circonda, fino all’ultimo passaggio, quello per cui siamo nati e che molti di noi temono e guardano con paura, quel momento per cui hai usato tutto il tempo che avevi a disposizione, ci sarà luce, intorno e dentro di te, ci sarà un respiro e il suo riflesso e ogni attimo che hai vissuto su questa terra si rispecchierà nel vuoto infinito dei tuoi occhi ormai muti.

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