mercoledì 5 dicembre 2018

Artist Valley #14

147 ore di luce, con accenni di buio e stelle scintillanti nel cielo porpora e damasco, l’attesa della pioggia e le danze primitive intorno al cerchio della mezza luna, Fiona era tornata dalla Spagna dopo giorni di digiuno e astinenza, rinchiusa in un perimetro invisibile delimitato da quattro feticci africani, le preghiere che il suo ego sibilava in conflitti interiori mai risolti, i teatri dell’infanzia che lunatici personaggi ancora interpretavano nei suoi sogni di abbandono, non c’era più traccia di razionalità nei suoi discorsi, ormai sprofondati in dirupi di follia messianica, la vedevo camminare intorno, sui prati, nelle stanze, benedicendo ogni cosa che si trovava davanti, portandosi appresso una brocca piena d’acqua,  santificata attraverso qualche misterioso rituale, Fiona si era perduta in una sorta di mistica deriva dei propri pensieri, combinando estasi indotte dal peyote a redenzioni cristologiche in costume, viveva ancora nella sua macchina e si spostava da un posto all’altro, principalmente Glastonbury e Wales, con la sua chitarra e le psicosi di una vita sempre sul punto di crollare e svanire ed era arrivata con una ragazza rumena, che aveva dormito sul pavimento del nostro cottage e poi la mattina aveva iniziato a parlare senza più fermarsi, snocciolando allucinazioni matematiche boschive, formule alchemiche e teoremi di geometrie polidimensionali, non ci avevo capito un cazzo di quello che stava dicendo, poi mi guardava e i suoi occhi erano ferini, atavici, mi aveva quasi spaventato con quello sguardo, c’era una presenza sessuale malata in quelle iridi, mi era venuto mezzo duro ma poi ho lasciato stare, mi sono alzato e sono uscito fuori, Fiona stava parlando in spagnolo con due bambini che non capivano assolutamente quella lingua e lei si era lanciata in un lungo ed estenuante monologo che nessuno sembrava ascoltare, poi se ne andava nel ruscello inscenando un delirio battesimale che le rocce applaudivano, mentre l’acqua creava forme di lucida astrazione e io mettevo altra legna nel fuoco, aspettando che qualcuno prendesse in mano la situazione ma la logica era ormai fuggita fra gli alberi e le colline, scomparendo oltre le ultime difese del pensiero e della sera e allora ho chiesto a Josh di passarmi la pipetta di pietra nella quale stava fumando erba, ho fatto un paio di tiri e sono rimasto in silenzio, qualcuno mi ha passato un bicchiere di birra, Mark è arrivato con la bottiglia di whisky che avevamo comprato in qualche cittadina di mare e la confusione mi accolto con la sua danza di grazia e oscenità e ho continuato a guardare le fiamme, le immagini della cerimonia della notte precedente che tornavano a mostrarsi, l’alba nata fra le parole di una donna con fili d’argento nei capelli, tutti i suoi movimenti che sembravano essere stati studiati e ripetuti fino allo sfinimento per quanto erano precisi e perfetti nella loro femminile fluidità e poi di nuovo fra le strade di una città onirica, ancora smarrito in un labirinto di volti e strade, lo scrittore viveva in una stanza al terzo piano di un albergo fatiscente, le insegne rossastre dei cinema porno, le puttane che passeggiavano lente sui marciapiedi, tutti i discorsi che non abbiamo più fatto, tutti i saluti, tutti gli abbracci che non ci siamo più dati, riemergevano i ricordi sulle superfici piatte di lenzuola di perla e sudore, le linee di bianca energia che pulsano sotto le palpebre, i canti che Michael intonava nel cuore di ognuno di noi, ci siamo guardati negli occhi in una mattina che il tempo aveva dimenticato, due universi che si incontravano in un attimo di puro splendore.

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