martedì 11 dicembre 2018

Aberystwyth #6

I sentieri del campus erano vuoti, gli studenti si erano nascosti fra gli alberi aspettando il momento giusto per sparire in un improvviso bagliore senza tempo, gli edifici di mattoni disegnavano uno schema di lezioni sbagliate, nelle aule i professori avevano adottato sistemi di insegnamento sperimentali, con scioperi e opposizioni e metodologie della masturbazione guidata, l’aula dei tacchi a spillo, quella delle calze velate, valutazioni feticistiche in trimestri ed atti unici osceni e abbandonati sui palchi del Teatro d’Argento, le giovani ballerine camminavano in punta di piedi, timide e silenziose e nella camera oscura si sniffavano polveri e nitrati su lastre al magnesio, poi folgorazioni elettriche in stampe da appendere in stanze ottogonali, ognuno di voi avrà il suo lato di futuro, ridacchiava uno degli insegnanti mentre si stringeva un laccio di cuoio intorno ai coglioni rasati. 
Lo schermo sembrava essersi svuotato anche se i tecnici del suono continuavano a manipolare i diversi rumori: vento, traffico in lontananza, gabbiani, musica jazz, sperimentalismi classici e avanguardie di suicidi dodecafonici, i libri dalle copertine plasmabili, le impronte di dita di gomma e celluloide, nel dipartimento di cinema e teatro si potevano passare intere giornate, solamente chiudendo gli occhi e lasciando che le sostanze psichedeliche facessero effetto, la nuova onda è qui e ora aveva scritto qualcuno sulle mattonelle di un cesso accademico, una studentessa osservava le lettere danzare leggermente mentre con una mano si accarezzava la fica e un uomo con gli occhiali dalle lenti trapezioidali la riprendeva  con il suo apparecchio di registrazione automatica, scrittura della psiche, ragnatele lessicali, picchi di strutture molecolari sul punto di infrangersi oltre le barriere del sonno, gli aerei da caccia che volavano bassi, in simulazioni di guerre atomiche non ancora scoppiate, le confezioni di codeina in un cassetto, le ricette mediche che una mano dalle unghie affilate mi passava sotto una porta onirica, passeggiate lente e senza meta, passi di danze soporifere in circoli di astinenza, lo scrittore si esercitava in stili di vita da marciapiede, costruiva  un personaggio immedesimandosi nella sua esistenza, prove diurne e rituali notturni, oggetti trasformati in feticci sotto l’occhio imperscrutabile della divinità lunare, ti troverò ovunque, diceva la faccia bianca, per poi abbandonarsi a orgie di latex e orgasmi cosmici,  la legna crepitava nella stufa e il tappeto aveva ancora figure geometriche in movimento, l’album delle fotografie da sfogliare, gli studi per il montaggio delle attrazioni ricoperti da materiali morbidi e scintillanti, le sequenze che avremmo inventato notte dopo notte, perché ogni risveglio fosse diverso da quello precedente, l’arte del tuo vivere, l’incandescente vibrare del tuo sangue nelle vene del mondo.


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