sabato 27 giugno 2020

beat #4 (1998)

C’è una strana foschia nell’aria o forse sono solo i miei occhi che non vedono più bene come una volta e in questo paragrafo la mia scrittura si fa lenta, riflessiva, lasciando temporaneamente da parte le scattanti-frasi-bop-kerouachiane. Ho bisogno di riflessione, di pesare le singole parole e il singolo significato. Il sole è gonfio e sta calando verso l’orizzonte, come la mia pancia, con il vino non ancora digerito, che sta cadendo verso la terra, una cometa di carne viva e febbrile, di fremente e simbolica voglia di vivere. E precipitano i miei occhi sull’asfalto e ho iniziato a scrivere queste pagine pensando di narrare le mie vacanze estive in un epico-non-epico affresco beat, ma i nomi dei luoghi che ho visitato, delle strade sulle quali io e le mie amiche abbiamo corso, delle poche persone con cui ho parlato non hanno la forza o la disperazione dell’angelo desolato Jack e della sua ghenga e via di nuovo a sognare un’America infranta dai sogni di libertà di poche centinaia di uomini, quasi tutti morti o condotti in manicomio o assiderati sulle rotaie alla ricerca di feste messicane dove ballare e ubriacarsi e migliaia di discorsi senza un Apparente Senso e le mujeres che ci offrono la loro pelle, magiche danzatrici, le loro linee flessuose che si sciolgono fra le tue labbra, il sudore che cola e si mischia al sapore e al profumo atavico del sesso e via di nuovo a ballare sulle spiagge, tutti quanti nudi, a-fumare-erba-santa, a sentire il Vuoto e il Tutto mischiarsi, la magnificenza del corpo elettrico, il caldo contatto dell’acqua, le fantastiche visioni di uomini e donne nelle primitive copulazioni dorate nell’unione dell’Essenza stessa.


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