mercoledì 10 giugno 2020

Cigarrones #6

Marta ballava ad occhi chiusi, fluidi movimenti arabi di gambe e braccia e piedi nudi, Vanessa parlava con qualcuno, il bicchiere in mano, gli occhi che brillavano di una luce vitale, Pauline era seduta sul pavimento, ascoltando la musica, le chitarre che intrecciavano melodie andaluse e gitane, i colpi sul tamburo e nel cuore e il fluire delle note e delle stelle, dell’universo ignoto che racchiude tutti noi, gli sguardi scambiati con Hannah, le avevo detto che avremmo potuto comunicare così, senza parlare, solo perdendoci l’uno nelle iridi dell’altra e una donna sconosciuta che aveva raccontato storie su consunti tappeti orientali, i ricordi del padre ormai morto e una pace interiore nel trasformarli in una sequenza di immagini mentali, mentre la ascoltavo e pensavo al mio, di padre e anche a quanto sarebbe stato bello avere avuto una figlia da amare e veder crescere e fiorire e poi volti e corpi e il continuo sovrapporsi di sogni e momenti in cui credevo di essere sveglio in un mondo di illusioni, dinamiche notturne di visioni oniriche in sequenze filmiche montate dal subconscio - avevo parlato con Paul dell’idea di girare un documentario su Cigarrones e sulle persone che, in un modo o nell’altro, vi si erano ritrovate a vivere e le cartoline dipinte da Sebastian, attaccate ad un pannello di legno, i suoi colori che riproducevano stati emotivi, onde e riflessi sull’acqua, la playa del opio, il mio doppio seduto nudo in una spiaggia vicino Tarifa, le coste del Marocco e poi Maeve che giocava con me e lo scrittore che finiva la sua ultima birra e si alzava per perdersi nel buio - ci sono ancora i miei luoghi oscuri in cui finisco per vagare, perché? Chiedeva una donna dagli occhi di giada - perché è solo dentro me stesso che posso soffrire e gioire per la vita che arriva, unica e splendente e che in ogni respiro, indomita e sinuosa, si allontana da me.

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