martedì 2 giugno 2020

Cigarrones #5

La prima luce filtrava dai buchi nei teli che ricoprivano la yurt, poi cominciavano i richiami degli uccelli fra gli alberi, un nuovo giorno era arrivato e con esso i respiri profondi nel petto e i frammenti dei sogni fra le ciglia e i ricordi, tanti, dell’infanzia, dei volti dei miei nonni, dei miei genitori, delle donne amate e perdute, i loro occhi, le loro parole che tornavano nella mente e nel cuore e la consapevolezza che la strada da compiere, quella che avevo davanti, era una via solitaria - avrei avuto altre compagne di viaggio ma nessuna di esse mi sarebbe rimasta accanto per il resto della mia vita.
C’erano faccende da compiere in cucina e poi il cibo da preparare, facevo tutto con calma, mi osservavo intorno, la natura era una presenza misteriosa e accogliente, accettava senza giudizi le mie fantasie sessuali e c’erano le rocce, l’acqua, il sole e la luna, l’erba e le foglie come amanti inaspettate e sinuose, mi nascondevo fra di loro e lasciavo su di esse tutti i figli che non avrei mai avuto.
La luce accarezzava le cime delle montagne, svelando l’ultima neve che si stava sciogliendo, i fianchi della valle, le case e il fumo che saliva lento da punti solitari fra i campi - la primavera era già arrivata e con essa i fiori sugli alberi e gli odori di mandorle, arance e limoni, poi veniva Wibbs e ci facevamo quattro risate mentre mi raccontava parti della sua storia, mi faceva piacere la sua compagnia, la sua energia e lo ascoltavo in silenzio, come sempre, con poche domande, guardandolo negli occhi e in alcuni momenti sembrava felice e speravo fosse la mia presenza al suo fianco a farlo sentire così. Ogni tanto andavamo a Orgiva o al bar di Tablones e ci sbronzavamo insieme, bevendo birra e Soberano e alcune volte non ci ricordavamo neanche come eravamo tornati ai nostri rispettivi letti ma andava bene così, era un’ebbrezza gioiosa, maschile e condivisa e mi riportava indietro ai tempi della mia adolescenza e sapevo che quel ragazzo che era ancora dentro di me era stato davvero speciale e più prezioso della maggioranza delle persone che avevo incontrato durante la mia esistenza.

Poi mi stendevo fra gli abbracci del sole, i pensieri evaporavano, la pelle era calda e così mi sentivo protetto e al sicuro, la notte accendevo un fuoco e guardavo le stelle e le loro geometrie siderali, le architetture cosmiche che qualcuno aveva portato dal cielo alla terra e aveva trasformato in templi e cattedrali, mi muovevo a passo lento in questo spazio interiore e privato, con i miei libri, gli scritti, l’immaginazione al potere e la costante sensazione nell’anima di rimanere fedele a me stesso, in questa oasi di bagliori e scintille e quiete dorata in cui non ci sarà più differenza fra un primo vagito e un ultimo saluto, fra l’apparire alla vita e il fuggire via da essa.

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