martedì 30 giugno 2020

beat #6 (1998)

Che io sia il padrone del mondo? Questo è un argomento sul quale potrei seriamente discutere per lunghe e interminabili pagine fitte di obese parole e grasse allegorie monastiche che sfidano la nostra capacità di percepire il pensato tradotto in lettere. O che io sia veramente libero, che possa amare o desiderare una donna o l’obbligo di dovere solamente sognare il tuo corpo sinuoso che striscia sulla mia pelle o le infinite parole che potrebbero sibilare con la leggerezza di un soffio sul mio viso o quanto ancora non conosco della vita o dell’ amore della voglia di trascinarsi nella tempesta o di lasciarsi andare, di scappare, di urlare verità dimenticate o proibite. E ora ascolto solamente e angelo della desolazione volo su questa terra e le miei ali rimangono sempre intrappolate dall’insensibilità dei miei Simili (ma chi è simile a me) o dalla malvagità delle parole, che non sono arbitrarie o oggettive, ma come liquidi assumono la forma della bocca dalla quale escono e possono colpire o sussurrarti negli occhi lente e millenarie immagini di assopite sculture che amandosi si intrecciano in marmoree configurazioni di orgasmi consumati sotto lo scalpello di qualche solitario scultore che come mi hanno insegnato vede la sua creatura nel blocco-bianco-dell’universo-immobile e con la ferocia di un primitivo toglie con la sua arma d’ amore le parti superflue e snellisce armoniosamente il suo figlio e dopo che avrà limato l’ultimo muscolo si chiederà affranto e disperato perché nessun Verbo esca dalla sua bocca troppo perfetta e capirà che dio non esiste o che forse la perfezione non è armoniosamente il suo figlio e dopo che avrà limato l’ultimo muscolo si chiederà affranto e disperato perché nessun Verbo esca dalla sua bocca troppo perfetta e capirà che dio non esiste o che forse la perfezione non è propria dell’ uomo o che egli stesso ha creato un dio, che come tutti gli dei è un Qualcosa di Immobile e Assente, ma il verbo è facoltà dell’Uomo, e il verbo fatto carne non è altro che la nostra condizione, il nostro stato di essere, il nostro intimo e inconfessabile bisogno di comunicare e di far uscire da noi quel mistero che portiamo dentro. 


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