mercoledì 19 maggio 2021

Orgiva #39

 Gli accordi si prendevano intorno al tavolino di un bar, bevendo birra, soberano e sol y sombra, fumando sigarette di hashish e marijuana con le mani in disparte e la gente intorno che parlava una moltitudine di lingue diverse, inglese, francese, arabo, olandese e non che me ne fregasse un granché di quello che dicessero, erano solo suoni, a volte con un significato nascosto e altre con nessuno e così si decidevano i carichi, le consegne, i tempi, gli spostamenti, le strade da percorrere e ricordare - Poi la luce del tardo pomeriggio e ancora ferite nel cuore, la vedevo entrare dalle vetrate polverose dell’hotel Mirasol, mentre ero seduto su un logoro divano di pelle nera e c’erano piccole statue di donne seminude nella hall principale, quasi sempre vuota, con i sorrisi sbiaditi di fantasmi di viaggiatori ormai scomparsi impressi sulla tappezzeria fatiscente e una scatola nella mia stanza piena di oggetti proibiti e la valigetta con le buste di eroina che Chaz mi aveva portato - Indossavamo vestiti firmati, leggeri, di cotone, non sapevo che stagione fosse e neanche il nome da dare alle cose che un tempo avevo amato e non so perché io e lui finivamo sempre a parlare di vecchi film in bianco e nero e di registi defunti e poi c’era il rumore del vento, alcune notti e la valigetta sotto il letto, nell’attesa che il prossimo contatto arrivasse e solo allora sarei stato libero di lasciare la camera e andarmene e scomparire per poi riapparire in un’altra città, in un altro albergo, una nuova consegna, le solite bastarde abitudini di sempre ad accompagnarmi, mentre mi stringo un laccio di cuoio intorno ai coglioni e spengo la luce, per sottomettermi ai demoni del buio, ai loro corpi femminili e invitanti, ascoltando parole che solo il silenzio di una ossessione può ripetere nelle languide pieghe delle mie debolezze.

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