giovedì 7 aprile 2022

Roma #12

 So ‘mpicci diceva mio padre e aveva ragione e me lo ripetevo tra me e me, camminando verso casa, dopo che un dottore mi aveva detto che non mi potevo vaccinare perché non avevo fatto il tampone di ritorno dalla Spagna (l’avevo fatto lì, prima di prendere l’aereo ma a nessuno gliene era fregato un cazzo quando ero arrivato a Fiumicino) e mentre ero in fila, prima che il dottore mi chiamasse e mi dicesse del tampone, mi guardavo intorno e c’erano parecchie persone e forse sarebbe stato meglio guardare il cielo, perché il circo umano prima diverte e poi inesorabile deprime. In ordine sparso: adolescenti idioti davanti al cellulare, ragazze ventenni la cui capacità di digitare messaggi sul telefono lasciava stupefatti, il tossico romanaccio che non sapeva riempire un modulo e voleva attaccare bottone con tutti (strano che non mi ha chiesto - c’hai du spicci?), i tipi dell’accettazione, quattro di loro, a discutere dieci minuti su quale era il nome e il cognome di una persona straniera, il dottore che mi diceva di mettermi da parte (perché non avevo fatto il tampone) come se fossi un lebbroso, le piccole suore filippine che gentili ti indicavano dove andare, le madri che tentavano disperatamente di essere amiche delle giovani figlie e poi non so, ho smesso di guardare le persone e mi sono soffermato sulle piante, sulla luce, sulle ombre, sugli alberi, sui palazzi che mi circondavano e ho capito che sarei fuggito di nuovo, era inevitabile. Per le strade la gente era irascibile, senza gioia, senza prospettive, negli uffici tutti erano davanti ad uno schermo, in un piccolo spazio, sapevo bene cosa significava, ero stato anche io uno di loro e non avevo nessun desiderio di tornare nella gabbia. C’erano quelli che, dopo cinque anni, li vedevo ancora negli stessi posti di lavoro di allora, soprattutto nel quartiere, era tremendo, almeno avevo tentato di perdermi in un sogno e tutte le mie sconfitte erano state migliori di questa vita che mi vedevo intorno. Dovevo dimostrare a me stesso di avere il coraggio e la forza interiore di non cadere nelle solite tentazioni, sarebbero state una prova i giorni e le settimane che avrei trascorso in questa città. Roma era ancora la mia casa, non perché ci volessi rimanere, erano qui la mia memoria, i miei ricordi, il tempo passato, quello che mi sembrava il più prezioso. Girovagavo per i luoghi della mia infanzia, della mia giovinezza, rivedendo in alcuni di essi i miei nonni o i miei amici, specialmente loro, ancora giovani nei sogni, non mi interessava null’altro. Mi piaceva stare solo, osservare, camminare, fare fotografie, rimanere in silenzio, scrivere. Cala la sera, i colori tenuti del cielo, un altro giorno svanisce, un altro tassello che porterò con me, nel cuore, nel profondo di questa resa che ha lo stesso respiro della mia anima.

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