Avevo rivisto la Grande Bellezza di Sorrentino e il personaggio di Jep Gambardella mi faceva girare una frase nel cervello per descriverlo, come fosse un mantra romanesco, un pò flaneur, un pò fijo de ‘na mignotta - Ero andato alla usl per farmi ridare la tessera sanitaria, la mia l’avevo perduta quasi sei anni fa in un distributore automatico di sigarette a San Lorenzo e poi me ne ero dimenticato. Mi serviva adesso per il vaccino, che avevo una mezza intenzione di farmi, fosse solo per non pagare i test di cui si aveva bisogno per prendere un’aereo o un treno (in caso fossi fuggito di nuovo) e anche perché nei musei e nei cinema non si poteva entrare senza il green pass e credo pure sui nei ristoranti, la capacità umana di creare sempre nuove stronzate per incasinarsi l’esistenza era strabiliante.
Era più nitida ora la consapevolezza di quanto fosse stato tossico e nocivo l’ambiente nel quale avevo lavorato come insegnante di italiano e di quanto la montagna di vaccate che ero stato costretto ad ascoltare in quegli anni mi avesse quasi ucciso. Vedevo persone sedute dentro gli uffici, dalle finestre che tenevano aperte, con la mascherina sul volto, davanti a un computer a fare non so bene cosa, mi sembrava orribile, c’erano prigioni ovunque e tanti di noi non aspettavano altro che entrarci per poi ringraziare i propri secondini e tormentatori.
Ero passato anche per la stazione Tuscolana, era lurida come non mai, però possedeva ancora un’anima e una memoria che sentivo appartenermi. Mio nonno mi portava spesso lì, a guardare i treni, serbavo dentro di me quelle sensazioni e anche la luce che vedevo fra le rotaie mi sembrava simile a quella della mia infanzia. In questo stato d’animo scattavo fotografie, poi proseguivo, poi rimanevo fermo. In alcuni momenti parlavo da solo e chissà quanto ci avrebbero messo gli altri a iniziare di nuovo a rompermi i coglioni. Adesso non me ne preoccupavo, le stanze segrete c’erano ancora e anche gli sguardi e le mani gentili di dolci ragazze asiatiche, era sufficiente una comunicazione basica ed essenziale con loro o solo rimanere in silenzio ad occhi chiusi su un lettino, in uno stato di passività totale. Avevo libri di Houellebecq e Burroughs sul tavolino della mia stanza, bevevo insieme a mia madre a pranzo, chiacchieravamo un pò, poi ognuno si ritirava nel suo spazio personale. Mi alzavo presto la mattina, mi seduceva l’alba con la sua tranquillità, il giorno non prometteva nulla e io non avevo assolutamente niente da chiedergli. L’eterno ritorno è questo invisibile presente fatto di attimi e respiri e ombre sedute in attesa di un nostro ultimo e splendente addio.
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