giovedì 12 febbraio 2015

Ausgang #4



La mattina era fredda e scrivevo con una coperta posata sulle spalle e una tazza di caffè bollente, vicino al quaderno. Il viaggio in treno con Wim, mentre mi parlava di fotografia e cinema, le immagini in bianco e nero delle ciminiere, dei ponti, dei piloni di cemento che scorrevano in maniera orizzontale, insieme ai cavi dell’alta tensione, spezzando l’orizzonte, ritmicamente, poi le esplosioni di luce bianca, quando le nuvole si aprivano, i forti contrasti cromatici, le forme del mondo assorbite e riscritte attraverso un obiettivo, l’ossessione per i riflessi e le superfici, un’altra percezione, una realtà a parte, gli insegnamenti di Don Juan, la possibilità cosciente, lucida, di passare da una dimensione ad un’altra, le porte, gli ingressi, i passaggi mentali: droghe, sogni, energia sessuale, Brahman e Atman, scrittura.
La presenza minacciosa e inquietante di un castello, in alto, lo scorrere buio di un fiume, una notte senza stelle, un ponte perso tra due sponde, le mani ghiacciate, i passi lenti e l’eco di un grido animale, ripetuto come un mantra fra le pareti di antichi palazzi.
Camminavo nel quartiere turco, cercando qualcuno che mi vendesse qualche grammo di hashish, non conoscevo la città, le sue piazze e i suoi vicoli e non l’avevo mai visitata in sogno, non incontravo gli occhi di coloro che mi avrebbero dovuto vendere quello che volevo, non c’era nessuna intesa, nessun accordo.
Donne alte, bionde, longilinee, donne come spighe di grano in un campo d’estate, accarezzate dal vento, frementi, i loro occhi azzurri, capaci di rassicurarti, sapevano loro cosa andava fatto, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Ho parlato con un uomo argentino, in un negozio di vestiti usati degli anni venti e degli anni sessanta, magnifici tempi andati, perduti, l’uomo aveva il mio stesso nome, poteva essere una coincidenza o un sogno, uno dei quelli scritti con l’alfabeto segreto della vita, chiacchierammo un po’, in spagnolo e in italiano, mentre Maria e Catalina si provavano abiti e ridevano tra loro, ogni uomo doveva percorrere la sua strada, per trovare dio o semplicemente sé stesso o tutte e due le cose insieme, i più deboli, quasi tutti, non ce la facevano da soli e avevano bisogno di una guida, un maestro, lo chiamavano Cristo o con tanti altri nomi, dipendeva dal posto dove erano nati, si illudevano, pregavano, quello che avevamo dentro era uguale in ognuno di noi, quello che cambiava era il modo di arrivarci, l’esperienza diretta era necessaria, le parole per raccontarla erano superflue, simboliche. Per me le parole, quelle scritte, erano anche porte per muovermi in altri livelli di coscienza, per vedere e sentire il mondo in maniera diversa, più profonda.

Maria mi aspetta sotto le lenzuola, silenziosa, ancora assonnata, fuori ci sono bambini che gridano, l’azzurro del cielo colora per un attimo le nubi, le dita degli alberi si muovono nell’aria.

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