martedì 3 febbraio 2015

freewheelin' #19

Eravamo in una città di sogno e dovevo tornare in una stanza perché ci avevo lasciato dentro delle borse che dovevo assolutamente riprendere e mentre camminavamo ci siamo ritrovati su un sentiero, c’era poca luce e all’improvviso è apparsa una discesa di terra, ai bordi c’erano alberi e io sono scivolato, cercando di aggrapparmi alle radici che spuntavano dal suolo. Ho chiuso gli occhi, continuando a scivolare, poi sotto le mie dita c’era qualcosa di caldo, simile ad una pelliccia, ero sul dorso di un animale e mi aggrappavo ai suoi peli, l’animale camminava, con me e il mio amico sopra. Al risveglio avrei dovuto mettermi a scrivere, seguendo il consiglio dell’uomo con la barba, ma il tempo non era sufficiente, il tempo non bastava mai, dovevo ancora alzarmi, fare la doccia, vestirmi e uscire. La notte aveva fatto freddo, la sera fumavamo white shark e ci addormentavamo quasi subito, da sotto le coperte, quando la notte era profonda, scivolavo nei mondi onirici, la piazza affollata di una città di sogno, il monumento di un uomo a cavallo, esseri oscuri da cui nascondersi, i piccoli negozi che vendevano sostanze proibite, lo spettacolo misterioso all’interno di un piccolo teatro, un cilindro su cui erano state sistemate due figurine, una donna e un uomo, la donna aveva una specie di divisa e una frusta in mano, l’uomo era nudo, si spegneva la luce nella stanza, le persone rimanevano in silenzio, faceva caldo e sentivo un odore di oppio senza capire chi lo stesse fumando, il cilindro prendeva vita, muovendosi, una nuova luce al suo interno, le figurine si animavano e la donna colpiva con la frusta l’uomo, nella stanza o nella mia mente sentivo una musica ipnotica, creata con strumenti orientali… poi il cilindro rallentò il suo movimento fino a fermarsi, le persone uscirono dalla stanza, io rimasi ancora un po’, avvicinandomi al cilindro, come per studiarlo, una mano mi toccò la spalla, vidi una donna con una maschera nera sul volto, mi fece un cenno con la testa, la seguii, una porta segreta si aprì dietro delle tende rosse, in uno dei lati meno illuminati della stanza, lei mi guardò negli occhi senza abbassare lo sguardo, avevamo creato un contatto – vuoi entrare? – mi disse.

Faceva freddo per le strade, i treni passavano in alto, orizzontali, verso la luce, splendenti e divini, lasciavano tracce luminose, fatte di riflessi, fili dorati scorrevano sopra i treni, a tagliare lo spazio, rette parallele si allungavano all’infinito, seguire le direzioni della mente, verso est e il sorgere del sole, il silenzio ovattato e caldo di uno scompartimento solitario, appoggio la testa di lato e guardo fuori dai larghi finestrini in formato 16/9, visioni panoramiche con colori alterati, le sfumature di bronzo dietro i vetri oscurati di un altro scompartimento, il buio delle gallerie, i ritmi ipnotici delle lampade, i disegni preistorici delle macchie di umidità, il fermo immagine di un volto spaventato, prima di sprofondare nell’oscurità senza stelle di un ennesimo tunnel, una volta fuori dagli echi senza risposta del deserto, camminavo a piedi nudi, trasformandomi in sabbia, milioni di granelli dispersi dal vento, i suoni di strane creature che strisciavano fra le dune, intorno all’accampamento, i fuochi accesi, le pipe di pietra cariche di hashish, il calore di un corpo di donna e il suo odore di muschio, la pelle morbida, canti sommessi tra costellazioni di animali, una lama appuntita che graffia il metallo, pelle di serpente, le lingue si attorcigliavano, risalendo sul collo, risucchiavano aria e saliva, senza controllo, assetate, fameliche, le grida gelide che diventavano ombre di cristallo, il fermo immagine di un occhio chiuso, la vagina del mondo schiumava onde di lussuria, i canti delle donne e le loro preghiere, legato ad un palo nel mezzo del deserto, i fuochi accesi, le melodie e il cazzo duro, fiotti di olio, densi e neri, si mischiavano alla notte, le bocche dischiuse, affamate, la saliva che colava come schiuma d’ebano dall’asta del mio cazzo, pulsante, con le vene in rilievo, colava nelle bocche e sui seni delle donne, le loro mani impazzite, i ritmi tribali dei tamburi, i paesaggi bianchi, gli alberi neri inchiodati alla terra, un libro chiuso pieno di immagini pornografiche, gli uccelli che attraversano in volo i campi, lasciando scie d’argento al loro passaggio. 



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