I
miserabili uscivano di notte, con il buio, scivolavano lungo le pareti,
trascinando i loro carrelli della spesa, in fila, arrivavano vicino ad un
cassonetto, accendevano le piccole luci elettriche allacciate sulla fronte, i
fasci luminosi, deboli e tremolanti entravano nelle bocche aperte dei
cassonetti, illuminando stomaci fetidi e metallici, pieni di rimasugli di
plastica, vetro, oggetti rotti, avanzi si cibo, i miserabili cercavano,
spostavano, scavavano, con un lungo spadino ricurvo riuscivano a spingersi in
profondità, quando qualcosa li interessava la tiravano fuori e la mettevano
dentro il carrello della spesa o in un passeggino, poi continuavano, verso il
cassonetto successivo, così ogni notte, una lenta processione di uomini e donne
vestiti di stracci, le bocche sdentate, l’odore dell’alcol che impregnava corpi
e vestiti, parlavano lingue sconosciute, i volti ghignanti si dissolvevano
all’alba nel fumo delle loro sigarette.
Il
bambino camminava sul terrazzo, sotto un cielo nuvoloso e un sole che si
divertiva a nascondersi, il bambino aveva in mano una chiave, con un pendaglio
colorato ad una estremità, avvicinava la chiave a qualsiasi cosa, vasi, piante,
sedie, tavoli, cercando dove infilarla, poi continuava a camminare, ogni tanto
mi guardava negli occhi, lo seguivo, senza intervenire, il bambino è entrato in
una stanza ed è arrivato fino ad un comodino appoggiato ad un muro, mi ha
guardato, ha sorriso, ha infilato la chiave nella piccola serratura del
comodino, si è seduto per terra, in silenzio, mi sono avvicinato, ho girato la
chiave, seduti su una spiaggia guardavamo insieme il mare fuggire.
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