venerdì 20 novembre 2015

fotografia numero due

Eravamo seduti nel suo studio, non so che ora fosse, avevamo passato le ultime ore assumendo diverse sostanze, ero seduto su una poltrona di velluto a coste arancioni, davanti ad una grande vetrata, lo spazio esterno era diviso in sezioni quadrate, un fiume scorreva oltre i bassi edifici costruiti sulle sue rive, il cielo era nuvoloso e si apriva, all’improvviso, in squarci di luce che colavano fino all’acqua, mischiandosi con essa, facendola brillare, fumammo della buona erba, rimanendo seduti, il mio corpo era leggero – lei si stese su un letto, in una zona in penombra dello studio, ancora vestita, si era tolta gli occhiali, sulle lenzuola c’erano un mucchio di libri e di appunti, sembrava stanca, mi sedetti davanti alla sua macchina da scrivere, ero nudo, il foglio bianco, respirai piano – non scrivere nulla, disse lei.


Camminavamo su una spiaggia che poteva esistere solo nelle immagini che aveva scattato non so quanto tempo prima, i viaggi in macchina quando ancora sapevo parlare ed ascoltare, le dune del deserto, le pause, gli sportelli aperti, gli occhiali che teneva in mano, quando doveva dirmi qualcosa, avremmo dovuto comprare della mescalina – rinchiusi in una stanza a venezia, senza sapere nulla della città, le maschere nere posate sul letto ancora intatto, una pietra con un fiore disegnato sopra, non avevo paura di invecchiare, era tutto quello che avevo sempre voluto.

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