Eravamo seduti nel suo studio, non so che
ora fosse, avevamo passato le ultime ore assumendo diverse sostanze, ero seduto
su una poltrona di velluto a coste arancioni, davanti ad una grande vetrata, lo
spazio esterno era diviso in sezioni quadrate, un fiume scorreva oltre i bassi
edifici costruiti sulle sue rive, il cielo era nuvoloso e si apriva,
all’improvviso, in squarci di luce che colavano fino all’acqua, mischiandosi
con essa, facendola brillare, fumammo della buona erba, rimanendo seduti, il
mio corpo era leggero – lei si stese su un letto, in una zona in penombra dello
studio, ancora vestita, si era tolta gli occhiali, sulle lenzuola c’erano un
mucchio di libri e di appunti, sembrava stanca, mi sedetti davanti alla sua
macchina da scrivere, ero nudo, il foglio bianco, respirai piano – non scrivere
nulla, disse lei.
Camminavamo su una spiaggia che poteva
esistere solo nelle immagini che aveva scattato non so quanto tempo prima, i
viaggi in macchina quando ancora sapevo parlare ed ascoltare, le dune del
deserto, le pause, gli sportelli aperti, gli occhiali che teneva in mano,
quando doveva dirmi qualcosa, avremmo dovuto comprare della mescalina –
rinchiusi in una stanza a venezia, senza sapere nulla della città, le maschere
nere posate sul letto ancora intatto, una pietra con un fiore disegnato sopra,
non avevo paura di invecchiare, era tutto quello che avevo sempre voluto.
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