giovedì 12 novembre 2015

fotografia numero uno

Seduto in una stanza dalle pareti blu, dei cuscini sul pavimento, le gambe incrociate, la donna era più grande di me, fili d’argento tra i capelli, si era seduta davanti, anche lei a gambe incrociate, il seno nudo, i capelli che lo ricoprivano. Mi diede una pillola  e una ne prese lei, la mandai giù e attesi che iniziasse a fare effetto. La stanza era calda, accogliente, grande, con i pavimenti di legno, tavole di legno, vecchie e calpestate da migliaia di piedi, scarpe e stivali. C’erano due finestre, senza tende, fuori nevicava, piano, gli alberi si stavano ricoprendo, la strada sotto anche, eravamo protetti o almeno era quella la sensazione che provavo. Lei prese un libro di foto e lo aprì davanti a me, la pillola cominciava a trasformare le mie percezioni, quelle foto venivano proiettate dal libro nella mia mente, immagini nitide ed immense nelle quali potevo muovermi in ogni direzione, non c’erano leggi fisiche al loro interno, lei mi sussurrò di chiudere gli occhi, l’esperienza sarebbe stata ancora più intensa.


Non c’erano colori, ma solo infinite sfumature di bianco, grigio e nero – lo spazio immenso di un deserto, piatto, soffice, levigato – le rocce spuntavano fuori, all’improvviso, spaccavano la terra e salivano dal ventre del mondo, senza rumore, le ere passavano in intervalli di tempo sconosciuti, volai su quei paesaggi preistorici, privi di forme di vita umana, racchiusi nella perfezione di un silenzio millenario – sentii la sua mano accarezzarmi la base del collo, fu come un soffio d’aria che mi spinse ancora più lontano – un vuoto senza gravità, una dimensione sonora, sferica e trasparente, un’espansione dall’interno, potevo arrivare a sentire ogni centimetro della mia pelle, potevo ampliare quelle brevi distanze in chilometri e chilometri di sabbia e cielo, camminarci sopra, spostarmi senza fare un passo – delle conchiglie posate senza un ordine su una stuoia, sul pavimento di legno, illuminate da una luce senza origine, come se brillassero da dentro, ascolta – disse lei, il respiro delle conchiglie era il mio stesso respiro, un rumore di onde che arrivano e tornano indietro, i movimenti senza fine dell’acqua e dell’aria, allungai una mano, la sua pelle era liscia e fredda, con venature rosa e azzurrine e linee nere, rossastre, bianche – i suoi occhi di perla e l’alba delle sue orme sul mio corpo, ero sdraiato e lei mi camminava sopra, il peso dei suoi piedi sul petto, le sue dita nella mia bocca, le succhiavo, avevano il profumo dell’oceano.

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