Avevo
visto l’uomo con la barba sempre fermo, appoggiato ad un muro, in silenzio,
aveva delle buste accanto a sé. Alcune volte ci scambiavamo degli sguardi, i
suoi occhi erano chiari, andava e veniva, non avevo idea di dove vivesse. Non
abbiamo mai parlato per lungo tempo. Poi ho iniziato ad incontrarlo nei sogni.
Era sempre appoggiato ad un muro, la sua barba, lunga, durante quegli incontri,
cambiava colore, non in maniera improvvisa, ma sfumando lentamente da una
tonalità all’altra, la sua testa, in alcuni momenti, sembrava circondata da
un’aurea lucente, i suoi occhi erano azzurri e rimanevano identici, solo la
pupilla si allargava e restringeva seguendo ritmi che non riuscivo a capire, le
fotografie mentali passavano dal suo sguardo al mio, potevo, dunque, vedermi
dall’esterno. Negli incontri onirici non avevamo bisogno delle parole, la
comunicazione avveniva tramite messaggi psichici, iniziò ad istruirmi sui Veda,
sulla terminologia sacra dell’induismo. I solchi mentali, karman, erano paragonabili a quelli presenti su un disco di vinile,
l’immagine era nitida, il disco che girava era la nostra esistenza, i suoi
solchi le nostre abitudini, la musica che ne usciva fuori poteva essere la
nostra gioia o la nostra infelicità.
L’uomo
con la barba mi porta in una stanza con cuscini orientali e disegni delle
centinaia di forme con cui Brahman poteva manifestarsi, il diamante lucente
della coscienza e i suoi molteplici riflessi, la sua barba scintillava. Fumammo
da un chilum avvolto in un fazzoletto di stoffa. Sdraiati su tappeti, al ritmo
dei nostri battiti cardiaci, sempre più lenti, scivolammo nell’oceano
interiore, un uccello colorato si alzò in volo dalle acque, le onde sembravano
provenire da qualche antica incisione giapponese, l’uccello aveva filamenti di
luce al posto delle piume e volava silenzioso attraverso il tempo e lo spazio,
ci guardammo negli occhi, iridi a forma di mandala.
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