martedì 25 ottobre 2016

Cymru #10


Vagavo per i boschi, poco prima del tramonto, raccoglievo dei piccoli funghi dai prati, li mangiavo, poi m’immergevo nel verde, le sue sfumature erano infinite come le possibilità della mia mente, le sue storie, le sue percezioni. A volte ero completamente nudo tra gli alberi, mentre immaginavo sentieri da seguire e coglievo segnali che solo io potevo vedere, i fili di una ragnatela brillavano come i contorni delle foglie, un fiore di porcellana irradiava la sua gioia, le gocce che cadevano dalle cime degli alberi come minuscole perle sospese nel vuoto, percorsi d’estasi, rumori sconosciuti, antri oscuri e il muschio che era una soffice carezza o la barba millenaria di un antico essere fiabesco. Davanti allo specchio, la mia immagine che si moltiplica ai lati come nelle raffigurazioni delle divinità indiane, un fiore purpureo che si muove e si avvicina alla punta del mio cazzo mentre lo tiro fuori per pisciare, lo inizia a succhiare, soffici contrazioni ritmiche, un vecchio indiano mi guarda da un’antica fotografia, gli occhi immobili, la lunga pipa in mano. La mia sborra colava sulla terra umida, la mia voce diventava un’eco di piacere, sapevo che gli alberi mi stavano guardando, chiedendosi chi fosse questo folle personaggio uscito fuori da un’allucinazione, ero io la loro visione, la proiezione di un mondo vegetale talmente perfetto da trasformarmi in caos.

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