Non avevo più contatti, avevo attraversato una porta e mi ero ritrovato in una città sconosciuta, non capivo la lingua, portavo sempre gli stessi vestiti, avevo pochi soldi, passavo le mattine al sole, su un panchina, nel parco di una piazza, per mangiare andavo ad un mercato, cercavo tra gli avanzi qualcosa di commestibile, qualcuno mi ragalava un po’ di frutta, gli abiti iniziavano a diventare sporchi e io non riconoscevo più il mio aspetto nelle superfici che lo riflettevano, erano immagini distorte, quello non potevo essere io, non ricordavo i lineamenti di quel volto che mi sembrava così terribilmente invecchiato – c’era una voce profonda, pura e semplice, che parlava dentro di me e ogni tanto, quella voce, mi diceva dove andare, i posti si assomigliavano, silenziosi, pieni di alberi, lucenti, mi sedevo e ammiravo lo splendore che avevo intorno – iniziai a pregare, affinché quella voce diventasse sempre più forte, volevo seguirla e farla finita con tutto – ero nudo davanti ad una pianta dai fiori pendenti, si aprivano come una veste leggera o una gonna per un ballo, infilai il cazzo dentro uno di essi, si chiuse, iniziando a contrarsi, il pistillo entrò nell’uretra e rilasciò un liquido caldo e vibrante, sentivo il cazzo indurirsi sempre di più, gli orgasmi salivano e scendevano senza che potessi controllarli, quando mi sembrava di stare per venire il pistillo impediva l’eiaculazione, le palle erano gonfie e violacee, continuavano le contrazioni, scintille purpuree nello sguardo – mi stesi per terra, c’era silenzio e molte ombre iniziarono a muoversi, oggetti dalle forme sconosciute si materializzavano tra di esse, illuminati da angolazioni impossibili, i muri della stanza si dilatarono, ebbi la sensazione di cadere, ascoltai discorsi che nessuno stava pronunciando, mi passai una mano sul volto, attraversandolo, l’immagine di arbusti piumati che si muovevano lenti e delicati nell’aria, una mattina di novembre, una luce divina, una panchina perduta nelle memoria di domani.
lunedì 31 ottobre 2016
le alte torri #62
Non avevo più contatti, avevo attraversato una porta e mi ero ritrovato in una città sconosciuta, non capivo la lingua, portavo sempre gli stessi vestiti, avevo pochi soldi, passavo le mattine al sole, su un panchina, nel parco di una piazza, per mangiare andavo ad un mercato, cercavo tra gli avanzi qualcosa di commestibile, qualcuno mi ragalava un po’ di frutta, gli abiti iniziavano a diventare sporchi e io non riconoscevo più il mio aspetto nelle superfici che lo riflettevano, erano immagini distorte, quello non potevo essere io, non ricordavo i lineamenti di quel volto che mi sembrava così terribilmente invecchiato – c’era una voce profonda, pura e semplice, che parlava dentro di me e ogni tanto, quella voce, mi diceva dove andare, i posti si assomigliavano, silenziosi, pieni di alberi, lucenti, mi sedevo e ammiravo lo splendore che avevo intorno – iniziai a pregare, affinché quella voce diventasse sempre più forte, volevo seguirla e farla finita con tutto – ero nudo davanti ad una pianta dai fiori pendenti, si aprivano come una veste leggera o una gonna per un ballo, infilai il cazzo dentro uno di essi, si chiuse, iniziando a contrarsi, il pistillo entrò nell’uretra e rilasciò un liquido caldo e vibrante, sentivo il cazzo indurirsi sempre di più, gli orgasmi salivano e scendevano senza che potessi controllarli, quando mi sembrava di stare per venire il pistillo impediva l’eiaculazione, le palle erano gonfie e violacee, continuavano le contrazioni, scintille purpuree nello sguardo – mi stesi per terra, c’era silenzio e molte ombre iniziarono a muoversi, oggetti dalle forme sconosciute si materializzavano tra di esse, illuminati da angolazioni impossibili, i muri della stanza si dilatarono, ebbi la sensazione di cadere, ascoltai discorsi che nessuno stava pronunciando, mi passai una mano sul volto, attraversandolo, l’immagine di arbusti piumati che si muovevano lenti e delicati nell’aria, una mattina di novembre, una luce divina, una panchina perduta nelle memoria di domani.
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